Anche se non siamo Martin Luther King, anche noi abbiamo un sogno. Noi chiesa vicentina, porzione un po’ sgangherata del popolo santo di Dio, fatta di preti e diaconi innamorati e operosi, ma sempre un po’ al limite di una crisi di nervi; di laici e laiche generosi, ma spesso tentati da rassicuranti ripiegamenti sulla tradizione o, all’opposto, da spericolate fughe in avanti; da consacrate e consacrati che rinnovano la passione e il carisma, ma che ogni anno intanto devono chiudere case e conventi. Sì, noi, proprio noi, questa “armata Brancaleone” della fede, assieme ai pastori che Dio nel tempo ci ha donato e che da Dio hanno accettato i molti oneri e i pochi onori che l’episcopato oggi comporta, da alcuni anni abbiamo un sogno. Quello di realizzare “una nuova presenza della Chiesa nel territorio, con un nuovo volto e uno stile nuovo”, come scrisse ancora nel 2016 mons. Beniamino; quello di dare un futuro alle nostre comunità, oggi “minoritarie e un po’ smarrite”, ma desiderose di “custodire la presenza del Risorto” e di “tenere accesa la lanterna della speranza”, come efficacemente descrive ed esorta il vescovo Giuliano nel suo Messaggio per l’anno pastorale da poco iniziato. Liquidati senza troppi rimpianti i residui della cristianità (forse “un oceano profondo pochi millimetri”, come disse un prete con immagine arguta), sogniamo ora di rigenerare la nostra chiesa perché sia di nuovo evangelicamente sale e lievito nel grande impasto del mondo.
Una chiesa fatta di comunità piccole, ma fraterne e accoglienti, con al centro la Parola di Dio e l’Eucarestia; in cui si coltivano la gioia e la speranza; in cui i diversi servizi sono fatti con semplicità e generosità, senza gelosie e mormorazioni; comunità forse materialmente più povere, ma ricche di umanità, in cui la carità, prima che istituzione, è atteggiamento di fondo, per tutti e verso tutti e in cui subito ci si accorge se manca qualcuno; comunità in cui i cori cantano solo per pregare e aiutare a pregare; in cui le famiglie che chiedono i sacramenti per i figli partecipano alla Messa domenicale; e in cui i morti che non sono mai venuti in chiesa si lasciano andare al cimitero con il sufficiente conforto di una preghiera e di una benedizione. E questo nostro sogno di un cristianesimo più autentico, libero e liberante da ritualità e ripetizioni spesso oramai stantie, soffocanti e consunte, si intreccia provvidenzialmente con il cammino di rinnovamento sinodale avviato da papa Francesco che giungerà, non a caso proprio nell’anno giubilare, alla sua ultima fase, quella profetica.
Profezie, sogni, visioni…che, come dice Gioele, vengono nella comunità credente soprattutto dai giovani e dagli anziani che, proprio per questo vanno non solo amati e curati, ma soprattutto ascoltati. Riprendono questa domenica le assemblee vicariali per proseguire il cammino sinodale e dare profeticamente concretezza al sogno. Ed è bello che questi incontri riprendano nel giorno in cui il calendario riporta la festa dell’arcangelo Michele, celeste patrono della Chiesa contro le insidie del male e le divisioni del maligno; ma anche nella domenica in cui si celebra la Gionata del migrante e del rifugiato, perché in fondo anche noi siamo popolo in cammino, sempre stranieri e ospiti su questa terra, ma, come dice l’Apostolo, concittadini dei santi e familiari di Dio.
Alessio Graziani
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