Chi vuole veramente la pace? Non di certo coloro che compiono attacchi terroristici, lanciano missili, mandano truppe e carrarmati oltre i propri confini. Ma un sospetto oramai, dopo un anno di guerra in Medio Oriente, oltre due in Ucraina e tanti altri di conflitti dimenticati in parti più remote del mondo, legittimamente ci viene anche sugli altri soggetti internazionali. E non stiamo parlando solo di superpotenze economiche lontane, tecnologicamente avanzate, ma democraticamente arretrate come la Cina e l’India o di dittature sanguinolente come la Corea di Kim Jong-un, ma anche di Europa e Stati Uniti che sui conflitti in corso paiono aver assunto posizioni spesso ambigue e rinunciatarie, mostrando di confidare più nella forza delle armi che in quelle del diritto e del dialogo diplomatico.
In pochi si sono accorti che da qualche settimana l’Unione Europea, per la prima volta nella sua storia, si è dotata di un Commissario per la Difesa. Tra i suoi compiti vi è quello di “rilanciare l’industria bellica europea, incrementando la produzione di armi e aumentando la collaborazione tra i produttori”. E se ancora non dovesse essere chiaro lo sciagurato sentiero intrapreso, per fugare ogni dubbio, basti leggere le recenti dichiarazioni di Andrius Kubilius, l’europarlamentare lettone designato Commissario alla Difesa dell’Unione Europea: “Se vuoi la pace, preparati alla guerra. In tempi di crescente insicurezza globale, la capacità dell’Unione di difendersi diventa cruciale. Dobbiamo essere pronti ad affrontare militarmente la Russia tra sei o otto anni… per questo l’Unione, a complemento della NATO, deve incrementare la produzione di difesa, accumulare riserve e continuare ad aiutare l’Ucraina a vincere la guerra”. È chiaro che la “produzione” e le “riserve” di cui si parla, anche se la parola non viene mai usata, sono quelle di armamenti ed è evidente che la nomina di un politico della Lettonia, indipendentista di destra, nemico giurato di Putin e della Russia, a capo della Difesa Europea sia una chiara scelta di campo sulla linea da perseguire nel prossimo futuro.
Negli Stati Uniti le cose non paiono essere certo migliori. Il governo americano (e questo indipendentemente dall’orientamento di chi lo presiede o lo presiederà) risulta infatti pesantemente condizionato nelle proprie scelte di politica estera proprio dalle lobby dell’industria militare le cui corporation sono, fin dai tempi di Eisenhower, direttamente o indirettamente, tra i principali finanziatori delle campagne elettorali tanto dei presidenti repubblicani, quanto di quelli democratici. Le guerre in Ucraina e in Medio Oriente hanno fatto schizzare alle stelle i profitti dell’industria bellica statunitense come di quella europea. E tali potenti gruppi economici, persone non fisiche, ma giuridiche e dunque non dotate di una coscienza morale cui appellarsi, che tanto condizionano e limitano il reale esercizio della democrazia in Occidente, di certo non si preoccupano di chi le armi le vede usare contro di sé, contro i propri cari, la propria casa, la propria terra.
Nella Pacem in Terris, più di sessant’anni fa, Giovanni XXIII, citando anche Pio XII, scrisse: “giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. Non si deve permettere che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità”.
Dunque la storia non ci ha davvero insegnato nulla?
Alessio Graziani
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