Anche quest’anno è venuto spontaneo accostare le parole del presidente della Repubblica Mattarella nel suo messaggio di fine anno a quelle di papa Francesco, pronunciate il giorno dopo, in occasione della Giornata Mondiale della Pace: una consonanza rassicurante tra i pochi che, tra i marosi della storia e della politica, cercano di tenere salda la barra del timone verso orizzonti ampli, alti e comuni.
A conclusione del suo discorso il Presidente ha utilizzato una parola che oggi suona desueta: patriottismo. Lo ha fatto riempiendola, però, di un significato nuovo, libero da ogni possibile fraintendimento di stampo bellicista o nazionalistico. «Patriottismo – ha detto Mattarella – è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che ancora assicurano sostegno alle loro famiglie. È patriottismo anche quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità».
Dobbiamo ritrovare una fedeltà generosa all’impegno quotidiano, magari lontano dai riflettori dei social, in spirito di servizio al prossimo e al bene comune
Se il patriottismo è l’amor di Patria, un fervido sentimento di devozione al Paese in cui si è nati o si vive, patrioti sono dunque coloro che ogni giorno compiono il loro dovere con responsabilità, precisione, onestà e disponibilità, senza cercare il proprio tornaconto e spesso senza neppure ricevere ringraziamenti o riconoscimenti particolari, ma solo perché convinti che sia giusto agire in tal modo. Credo sia esattamente questo lo spirito che dobbiamo ritrovare, valorizzare e trasmettere alle nuove generazioni, nella società come anche nella Chiesa, se vogliamo che il mondo possa ritrovare pace e speranza: una fedeltà generosa all’impegno quotidiano, magari lontano dai riflettori dei social, in spirito di servizio al prossimo e al bene comune, fatta anche di sacrificio e abnegazione, destinata a rimanere ai più sconosciuta, ma proprio per questo tanto più fondamentale e fondante.
Un impegno, ha detto papa Francesco rivolgendosi il 1° gennaio a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, che chiede di essere fatto con “cuore disarmato” perché – e non me ne vogliano gli amici alpini che le hanno effigiate nelle confezioni dei loro panettoni per questo Natale – le aquile che recano nel becco ramoscelli di ulivo non risultano né credibili né rassicuranti. Per vivere il patriottismo di cui parla Mattarella, non è possibile essere predatori rapaci, ma come dice il Papa, è necessario “un cuore mite, che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza del servizio; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo”.
Un patriottismo disarmato e disarmante, dunque. Utopia? Può darsi, ma noi cristiani continuiamo a crederci.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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