È l’impressione del contrasto ciò che più colpisce nelle foto che Bepi Magrin fa scorrere sullo schermo. Il contrasto tra il grigio di edifici decadenti e i colori sgargianti dei vestiti, delle barbe rosse, degli autobus ammaccati o dei risciò lungo le strade. Il contrasto tra il sorriso che si apre sui volti delle persone e il senso di miseria e povertà che si intravede sullo sfondo, nelle baracche che costeggiano una ferrovia. È il Bangladesh visto attraverso gli occhi di chi l’ha vissuto per un mese, percorrendo centinaia di chilometri lungo uno dei suoi fiumi principali – l’immenso Brahmaputra – per portare aiuti alle comunità locali. Gli occhi sono quelli di Bepi Magrin, alpinista, scrittore e viaggiatore valdagnese che a inizio gennaio si è recato nel Paese asiatico assieme all’amico Oliviero Masseroli che da alcuni anni ha intessuto un filo solidale con le comunità locali.
Come nasce questo viaggio?
«Nasce da un altro viaggio, la traversata dell’Himalaya fatta due anni fa. Durante quel cammino ho incontrato Oliviero Masseroli, viaggiatore e fotografo bergamasco: un uomo fuori dal comune che ha adottato il Bangladesh e ora, attraverso le sue mostre e altre attività , raccoglie fondi per portare un aiuto diretto alle comunità locali. Il suo impegno è iniziato dopo aver conosciuto il missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere Gregorio Schiavi, da vent’anni in missione nel villaggio di Mohespur, nel nordest del Bangladesh ai confini con l’India. Schiavi è stato un esempio di solidarietà praticata anche attraverso la condivisione della povera vita delle persone che aiutava. Viveva per loro e come loro. Lo stesso Masseroli ha fatto dell’aiuto ai bengalesi una scelta di vita ed è già andato in Bangladesh una ventina di volte».
L’ultima delle quali a gennaio.
«Abbiamo trascorso un mese in Bangladesh. Abbiamo visitato la capitale Dacca, città da 15 milioni di abitanti, e abbiamo risalito il fiume Brahmaputra per 450 chilometri arrivando fino alla zona nord, nel villaggio in cui ha vissuto padre Schiavi e dove oggi è sepolto. Guidati dal giovane Jouvel, ci siamo mossi con due piccole barche, in una terra che è tutto tranne che meta di turisti, una terra molto povera e arretrata, ma abitata da persone di grande dignità , che ci hanno accolto con molto entusiasmo e calore. Non è stato un viaggio semplice, ma è stato un mese intenso, ricco di esperienze e di bellissimi rapporti umani».
Quali aiuti avete portato?
«Abbiamo consegnato generi alimentari e di sostegno a un villaggio di 220 indigeni, in condizioni di particolare povertà . Le forme di aiuto che Masseroliporta sono però molteplici: sono state realizzate ad esempio costruzioni in mattoni e posizionate pompe d’acqua. Per dare una mano non serve molto. Lì, bastano poche decine di euro al mese per garantire a un giovane la possibilità di frequentare l’università e costruirsi un futuro. In tutti i casi si tratta di aiuti che vengono consegnati direttamente a chi ne ha bisogno, rispondendo così a necessità reali, che si toccano con mano».
Cosa si riporta indietro da un viaggio come questo?
«Abbiamo visitato villaggi, scuole, diverse missioni, la capanna in cui padre Gregorio ha vissuto per anni. Abbiamo conosciuto il caos di Dacca e visto situazioni davvero pesanti e di povertà estrema. Nelle persone incontrate abbiamo però sempre trovato profonda dignità , rispetto e curiosità verso quei bianchi che navigavano lungo il grande fiume. Ma, soprattutto, abbiamo trovato sorrisi. Tanti sorrisi».