Il calendario ci segnala che il 25 agosto manca esattamente un mese all’appuntamento con le urne per le elezioni politiche. Scadenza sicuramente signifi cativa per il nostro Paese che, non a caso, a partire da questo numero del nostro giornale, consideriamo di settimana in settimana in modo approfondito.
Ma c’è un altro anniversario che rischia invece di passare sotto silenzio, ma che è molto importante anche perché, lo vogliamo o no interseca l’appuntamento elettorale e in modi in cui non siamo magari neanche ben consapevoli, lo condiziona.
Mercoledì scorso 24 agosto sono stati sei mesi (sei!!) dall’inizio dell’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina e della conseguente guerra che ne è scaturita.
Quel giovedì 24 febbraio doveva segnare l’inizio di una guerra lampo trionfale per Putin e invece si è trasformato ben presto nell’inizio di una guerra lunga, atroce, dai costi umani, militari ed economici enormi e dalle fortissime ripercussioni internazionali.
Da sei mesi in Europa è finita quella pace che durava da 77 anni e che sembrava destinata a durare indefinitamente. Ci siamo risvegliati all’improvviso con una guerra assurda che ha provocato fino ad ora 12 milioni di profughi ucraini, persone costrette ad abbandonare la propria casa. Di queste almeno 5 milioni si sono rifugiate all’estero e molte in Italia.
Difficilissimo dare numeri esatti dei morti. Secondo le autorità Onu i soldati ucraini uccisi o feriti sono più di 50mila, quelli russi più di 80mila. Quasi seimila i civili ucraini ammazzati e circa ottomila i feriti.
Abbiamo ancora davanti agli occhi le file lunghissime di auto ai confini con la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria. Ricordiamo la mobilitazione delle nostre comunità ad accogliere questi poveri cristi. Non abbiamo dimenticato i collegamenti del presidente Zelensky con i parlamenti dei Paesi europei per chiedere sostegno militare innanzitutto e per raccogliere vicinanza e impegni da parte dei singoli esecutivi.
L’emergenza non è ancora finita e l’impegno in termini di solidarietà prosegue. Eppure, dopo sei mesi, non si può non notare come questa guerra appaia più lontana. Sarà
il clima agostano, le preoccupazioni casalinghe molto concrete, le prospettive elettorali, sta di fatto che della mobilitazione delle prime settimane resta ben poco. Eppure quel conflitto non è concluso e le sue prospettive non sono più positive di qualche mese fa, anzi. La centrale nucleare occupata dai russi a Zaporizhzhia, in Ucraina, con i suoi reattori, rappresenta una minaccia enorme per tutto il continente. La potenza di questa centrale è, infatti, sei volte maggiore rispetto a quella di Chernobyl. Eppure il pericolo sembra sottostimato, tanto è il silenzio che avvolge la centrale nucleare nonostante gli appelli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). I negoziati, peraltro, languono nonostante i ripetuti, insistenti e coraggiosi appelli di papa Francesco e della diplomazia vaticana, i tentativi della Turchia piuttosto che della Francia anche per cercare di sbloccare la crisi della fornitura del grano. Intanto l’esito sul terreno appare sempre più incerto con l’esercito russo che non dà l’impressione di poter vincere. In questa situazione bisognerà capire se la posizione di Putin all’interno si è o meno indebolita. Quello che è certo è che, comunque vadano a finire le elezioni politiche in Italia, il 26 settembre chi avrà la responsabilità di guidare il Paese dovrà fare i conti anche con questa guerra e con tutte le conseguenze che ha già provocato in termini economici e non solo, cercando di tenere fermo il riferimento europeo e la necessità di muoversi in accordo con gli altri partner.