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Home Liberamente Cultura

Trap e Rap. Un mondo da scoprire, non solo testi volgari

Un laboratorio a Bassano accompagna un gruppo di ragazzi e ragazze appassionati di musica. «Molti non credono in quello che scrivono e cantano. Non censuriamo nulla, ma ci facciamo spiegare perché usano certi termini», dice l'educatore Nicolò Maraolo, fondatore del progetto

16 Gennaio 2025
in Cultura, In primo piano
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Trap e Rap. Un mondo da scoprire, non solo testi volgari

Lazza e Anna Pepe

“Mi chiedo se sono vere le cose che scrivi nei testi, bro”. Lo canta Lazza in una famosa canzone con Anna Pepe dal titolo BBE (Best Bitch Ever). Ed è proprio questo il punto. I giovani rapper e trapper credono davvero in quello che dicono? Il loro linguaggio duro, maschilista, l’amore come possesso, la donna oggetto, il mito dei soldi e del sesso, corrisponde veramente alla loro sfera valoriale? Gli adolescenti che conoscono le loro canzoni a memoria, che le cantano a squarciagola, che si chiudono in camera e alzano il volume nelle cuffie, che vanno ai concerti, credono in quello che ascoltano? Quanto le canzoni di Shiva, Tony Effe, Emis Killa, Baby gang e tanti altri possono influenzarli davvero? E in tutto questo noi adulti, genitori, educatori, increduli, sconcertati che andiamo a leggere su internet i testi, sgraniamo gli occhi sconvolti e corriamo dai nostri ragazzi: “Tu quella roba non l’ascolti più!”.

Come la mettiamo? Meglio cercare di capire.

«Non sono così sicuro che i cantanti stessi credano in quello che cantano, né che i ragazzi credano in quello che ascoltano»

Non è solo una questione maschile. Le adolescenti oggi, tra loro, si chiamano spesso ‘bitch’ (prostituta), lo dimostra Anna Pepe che, appunto – l’abbiamo visto sopra -, si definisce ‘Best Bitch Ever’, cosa vent’anni fa impensabile. Anna canta ‘cash, pasticche, girls, ti cavalco cow boy’. Vuole un uomo che dica ‘si, si, si’ e che le compri ‘le shoes’. “Sei la nostra vera baddie girl’ (giovane sicura di sé, animale da discoteca e amante della musica trap, ndr), scrivono le sue fan su YouTube.

«Non sono così sicuro che i cantanti stessi credano in quello che cantano, né che i ragazzi credano in quello che ascoltano», dice Nicolò Maraolo, 43 anni, comasco d’origine, musicista, insegnante di filosofia, educatore della cooperativa Adelante e fondatore del laboratorio musicale “Shed” a Villa Angaran San Giuseppe a Bassano del Grappa con il rapper Andrea Moretto, in arte Endi Primo. Insieme, da 5 anni, seguono ed accompagnano un gruppo di ragazzi e ragazze che fanno rap e trap. «C’è una scissione tra il significato e il significante – spiega Nicolò -. Sono gli stessi ragazzi a dirmelo. Se le ragazze si chiamano tra loro “bitch”, le giovani di colore usano l’appellativo “negre”, tra loro si può. Ci sono accezioni del significato a seconda dei contesti. Un orecchio adulto rimane certo scandalizzato, ed è giusto che sia così».

Nicolò ed Endi in cinque annii di laboratorio hanno seguito una sessantina di giovani. Ora il gruppo è composto da una quindicina di ragazzi dai 15 ai 22 anni, la maggior parte maschi, provenienti da vari contesti sociali e culturali. «Con la musica si può uscire da quella che è la realtà, le canzoni raccontano storie. Qualcuno mette su carta veramente quello che vive, che sente, che prova, ma la maggior parte all’inizio emula per poi trovare la propria dimensione e originalità», sottolinea Nicolò.

«’Il rap e la trap richiedono questo linguaggio”, mi dicono i giovani che seguo. Il concetto è: ‘Suona bene, è riconoscibile e riconosciuto, crea appartenenza, quindi lo uso’. C’è uno scollamento tra quello in cui credono e quello che dicono. Gli stessi meccanismi valgono per le immagini sui social. Il pregiudizio sulla ragazza che su instagram veste attillato, fa la bocca a cuoricino, che avremmo avuto noi 30 anni fa, oggi non c’è più».

Il laboratorio ‘Shed’ è un luogo di libertà «in cui i ragazzi possono scrivere tutto, dove vale tutto – continua Nicolò -. Non censuriamo nulla, però chiediamo loro perché utilizzano quella determinata parola, quell’immagine volgare. Non chiediamo di cambiarla, ma di spiegarcela. E intanto ci avviciniamo al loro mondo, le distanze si accorciano, cerchiamo di capirli e di farli riflettere sul poter fare meglio, sul cercare l’espressione più ricercata, sull’immagine meno scontata ed esplicita. Troppo facile dire: “No, questa è brutta roba”».

«Pochi hanno il ‘fuoco’ molti sognano di fare soldi»

«Trasgrediscono conformandosi, è una cosa che mi fa sorridere » dice il rapper bassanese Andrea Moretto, 45 anni, in arte Endi Primo, vincitore di vari contest freestyle, raggiunto telefonicamente in Thailandia dove si sta riposando «leggendo libri di fisica quantistica e guardando il mare». «Più che di trasgressione io parlerei di una formaidentitaria di appartenenza» spiega.

Endi, insieme a Nicolò Maraolo, segue un gruppo di ragazzi e ragazze che vogliono fare la trap e il rap a Villa Angaran San Giuseppe. «La loro è più una ricerca identitaria che artistica – sottolinea -. Pochi hanno il fuoco della musica. Molti vorrebbero diventare famosi». La Trap oggi ha un’enorme possibilità di diffusione soprattutto tramite i social, le piattaforme musicali, i canali YouTube. «Il rap e la trap anche se sembrano simili hanno provenienze culturali diverse – spiega Endi -. Il rap arriva dall’hip hop, quindi è un genere nato 50 anni fa, la trap è più recente, ha un’altra forma metrica, altri suoni e valori di riferimento. Li accomuna la semplicità nel farli: non servono grandi conoscenze musicali, è accessibile a tutti, soprattutto oggi con l’aiuto della tecnologia e dell’autotune. Possiamo dire che la trap è una costola del rap, figlia di altri valori e si con strumenti tecnologici più digitali». «I testi espliciti, le immagini volgari non sono caratteristichedella Trap, lo sono anche ad esempio del rock anni ’60, non c’è nulla di nuovo – continua il musicista -. Trent’anni fa provai a tradurre la canzone dei Doors ‘Light my Fire’ e rimasi allibito, pensavo dicesse tutt’altro. I miei miti che facevano hip hop parlavano di strada e poi scoprivi che erano figli della borghesia milanese. Ripeto, non è cambiato nulla».

Endi si rivede nei ragazzi che segue: «Mi rivedo assolutamente nella loro ricerca identitaria, nel loro spaesamento totale, quando usano immagini talmente forti senza sapere che diavolo stanno dicendo. Chiamano l’amore della loro vita ‘bitch’, chiedi loro perché e cade tutto il ca- stello». Il laboratorio ‘Shed’ è soprattutto un momento di confronto e di crescita. Si scrive e si incide. Alcuni ragazzi sono stati contattati da etichette discografiche. Endi e Nicolò li portano «a ragionare, a prendersi delle responsabilità, ad avere degli appuntamenti precisi, cadenzati». « L’aspetto che mi colpisce molto è che nella loro scala valoriale conta molto il fare soldi – conclude Endi -. Lavoro con ragazzi che vanno al liceo classico, allo scientifico, che frequentano istituti tecnici, con universitari. È una generazione figlia di genitori che hanno passato più di una crisi: negli anni ’90 e nel 2007. In casa hanno sentito parlare troppo di soldi, soldi, soldi. Che cosa volete che vogliano i loro figli?».

Marta Randon

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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