“Mi chiedo se sono vere le cose che scrivi nei testi, bro”. Lo canta Lazza in una famosa canzone con Anna Pepe dal titolo BBE (Best Bitch Ever). Ed è proprio questo il punto. I giovani rapper e trapper credono davvero in quello che dicono? Il loro linguaggio duro, maschilista, l’amore come possesso, la donna oggetto, il mito dei soldi e del sesso, corrisponde veramente alla loro sfera valoriale? Gli adolescenti che conoscono le loro canzoni a memoria, che le cantano a squarciagola, che si chiudono in camera e alzano il volume nelle cuffie, che vanno ai concerti, credono in quello che ascoltano? Quanto le canzoni di Shiva, Tony Effe, Emis Killa, Baby gang e tanti altri possono influenzarli davvero? E in tutto questo noi adulti, genitori, educatori, increduli, sconcertati che andiamo a leggere su internet i testi, sgraniamo gli occhi sconvolti e corriamo dai nostri ragazzi: “Tu quella roba non l’ascolti più!”.
Come la mettiamo? Meglio cercare di capire.
«Non sono così sicuro che i cantanti stessi credano in quello che cantano, né che i ragazzi credano in quello che ascoltano»
Non è solo una questione maschile. Le adolescenti oggi, tra loro, si chiamano spesso ‘bitch’ (prostituta), lo dimostra Anna Pepe che, appunto – l’abbiamo visto sopra -, si definisce ‘Best Bitch Ever’, cosa vent’anni fa impensabile. Anna canta ‘cash, pasticche, girls, ti cavalco cow boy’. Vuole un uomo che dica ‘si, si, si’ e che le compri ‘le shoes’. “Sei la nostra vera baddie girl’ (giovane sicura di sé, animale da discoteca e amante della musica trap, ndr), scrivono le sue fan su YouTube.
«Non sono così sicuro che i cantanti stessi credano in quello che cantano, né che i ragazzi credano in quello che ascoltano», dice Nicolò Maraolo, 43 anni, comasco d’origine, musicista, insegnante di filosofia, educatore della cooperativa Adelante e fondatore del laboratorio musicale “Shed” a Villa Angaran San Giuseppe a Bassano del Grappa con il rapper Andrea Moretto, in arte Endi Primo. Insieme, da 5 anni, seguono ed accompagnano un gruppo di ragazzi e ragazze che fanno rap e trap. «C’è una scissione tra il significato e il significante – spiega Nicolò -. Sono gli stessi ragazzi a dirmelo. Se le ragazze si chiamano tra loro “bitch”, le giovani di colore usano l’appellativo “negre”, tra loro si può. Ci sono accezioni del significato a seconda dei contesti. Un orecchio adulto rimane certo scandalizzato, ed è giusto che sia così».
Nicolò ed Endi in cinque annii di laboratorio hanno seguito una sessantina di giovani. Ora il gruppo è composto da una quindicina di ragazzi dai 15 ai 22 anni, la maggior parte maschi, provenienti da vari contesti sociali e culturali. «Con la musica si può uscire da quella che è la realtà, le canzoni raccontano storie. Qualcuno mette su carta veramente quello che vive, che sente, che prova, ma la maggior parte all’inizio emula per poi trovare la propria dimensione e originalità», sottolinea Nicolò.
«’Il rap e la trap richiedono questo linguaggio”, mi dicono i giovani che seguo. Il concetto è: ‘Suona bene, è riconoscibile e riconosciuto, crea appartenenza, quindi lo uso’. C’è uno scollamento tra quello in cui credono e quello che dicono. Gli stessi meccanismi valgono per le immagini sui social. Il pregiudizio sulla ragazza che su instagram veste attillato, fa la bocca a cuoricino, che avremmo avuto noi 30 anni fa, oggi non c’è più».
Il laboratorio ‘Shed’ è un luogo di libertà «in cui i ragazzi possono scrivere tutto, dove vale tutto – continua Nicolò -. Non censuriamo nulla, però chiediamo loro perché utilizzano quella determinata parola, quell’immagine volgare. Non chiediamo di cambiarla, ma di spiegarcela. E intanto ci avviciniamo al loro mondo, le distanze si accorciano, cerchiamo di capirli e di farli riflettere sul poter fare meglio, sul cercare l’espressione più ricercata, sull’immagine meno scontata ed esplicita. Troppo facile dire: “No, questa è brutta roba”».
«Pochi hanno il ‘fuoco’ molti sognano di fare soldi»
«Trasgrediscono conformandosi, è una cosa che mi fa sorridere » dice il rapper bassanese Andrea Moretto, 45 anni, in arte Endi Primo, vincitore di vari contest freestyle, raggiunto telefonicamente in Thailandia dove si sta riposando «leggendo libri di fisica quantistica e guardando il mare». «Più che di trasgressione io parlerei di una formaidentitaria di appartenenza» spiega.
Endi, insieme a Nicolò Maraolo, segue un gruppo di ragazzi e ragazze che vogliono fare la trap e il rap a Villa Angaran San Giuseppe. «La loro è più una ricerca identitaria che artistica – sottolinea -. Pochi hanno il fuoco della musica. Molti vorrebbero diventare famosi». La Trap oggi ha un’enorme possibilità di diffusione soprattutto tramite i social, le piattaforme musicali, i canali YouTube. «Il rap e la trap anche se sembrano simili hanno provenienze culturali diverse – spiega Endi -. Il rap arriva dall’hip hop, quindi è un genere nato 50 anni fa, la trap è più recente, ha un’altra forma metrica, altri suoni e valori di riferimento. Li accomuna la semplicità nel farli: non servono grandi conoscenze musicali, è accessibile a tutti, soprattutto oggi con l’aiuto della tecnologia e dell’autotune. Possiamo dire che la trap è una costola del rap, figlia di altri valori e si con strumenti tecnologici più digitali». «I testi espliciti, le immagini volgari non sono caratteristichedella Trap, lo sono anche ad esempio del rock anni ’60, non c’è nulla di nuovo – continua il musicista -. Trent’anni fa provai a tradurre la canzone dei Doors ‘Light my Fire’ e rimasi allibito, pensavo dicesse tutt’altro. I miei miti che facevano hip hop parlavano di strada e poi scoprivi che erano figli della borghesia milanese. Ripeto, non è cambiato nulla».
Endi si rivede nei ragazzi che segue: «Mi rivedo assolutamente nella loro ricerca identitaria, nel loro spaesamento totale, quando usano immagini talmente forti senza sapere che diavolo stanno dicendo. Chiamano l’amore della loro vita ‘bitch’, chiedi loro perché e cade tutto il ca- stello». Il laboratorio ‘Shed’ è soprattutto un momento di confronto e di crescita. Si scrive e si incide. Alcuni ragazzi sono stati contattati da etichette discografiche. Endi e Nicolò li portano «a ragionare, a prendersi delle responsabilità, ad avere degli appuntamenti precisi, cadenzati». « L’aspetto che mi colpisce molto è che nella loro scala valoriale conta molto il fare soldi – conclude Endi -. Lavoro con ragazzi che vanno al liceo classico, allo scientifico, che frequentano istituti tecnici, con universitari. È una generazione figlia di genitori che hanno passato più di una crisi: negli anni ’90 e nel 2007. In casa hanno sentito parlare troppo di soldi, soldi, soldi. Che cosa volete che vogliano i loro figli?».
Marta Randon
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