Il 20 e 21 settembre saremo chiamati alle urne per il referendum costituzionale per esprimerci sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari. In tale occasione, più forse che in altre, ci è chiesto capacità di andare oltre gli slogan per capire realmente cosa c’è in gioco. Comunque la si pensi è bene, infatti, essere coscienti che si tratta di un voto importante in quanto riguarda la nostra Costituzione che è la base del vivere politico, civile, economico, sociale. Essa è il fondamento a partire dal quale l’Italia si è sviluppata, è cresciuta, ha resistito a stagioni buie e difficili. Per i cattolici fa parte del proprio patrimonio culturale e valoriale. È qualcosa di davvero prezioso, certo non immodificabile, ma i cui possibili cambiamenti vanno soppesati in modo da non determinare danni all’impianto complessivo.
Con il nostro voto diremo se siamo d’accordo sul contenuto della riforma e sul metodo con cui avviene ovvero senza una serie di altre riforme necessarie per armonizzare il quadro complessivo.
Il taglio prevede 345 parlamentari in meno: da 630 deputati a 400 e da 315 senatori a 200. Un taglio pari al 36,5 per cento dei rappresentanti. Se vincerà il Sì ne resteranno solo 600 e il nostro Paese potrà vantarsi (ma è un vanto?) di essere tra i Paesi con il più basso rapporto tra eletti ed elettori.
Diverse le valutazioni pro e contro che si possono addurre. Tra quelle a favore non conta quella economica. Se vincerà il Sì il risparmio sarà infatti inferiore ai 60 milioni l’anno, pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica complessiva. La questione economica, poi, non può ridursi a questo specifico aspetto ma riguarda più in generale l’efficienza delle istituzioni che passa prima di tutto dalla differenziazione di competenze tra Camera e Senato (oggi invece fanno le stesse cose) e dal miglioramento della selezione della classe politica, così da premiare la qualità piuttosto che la fedeltà degli eletti.
Tra i sostenitori del Sì si sottolinea la difficoltà di giungere, nel nostro Paese, a una completa e organica riforma costituzionale. Quindi, sostengono, conviene prendere quello che di buono c’è e vedere in tale modifica un primo passo di un percorso più articolato. L’altro elemento che portano i sostenitori al taglio è che questa riduzione è presente in tutte le proposte fin dalla metà degli anni ’80.
La domanda che però occorre farsi è: Quali sono gli effetti della riforma sul sistema della rappresentanza democratica? Il Parlamento è il cuore di tale sistema e ci sono delle regole perché la rappresentanza sia reale. Se l’eletto rappresenta un numero troppo elevato di cittadini, non riuscirà ad avere alcuna relazione con il territorio e il rapporto rappresentante – elettore sarà molto più debole. Le minoranze poi, senza correttivi che al momento non si vedono all’orizzonte, rischiano di non avere rappresentanza. Il cambiamento del numero dei parlamentari dovrebbe prevedere anche la modifica dei regolamenti di Camera e Senato di cui, pure, al momento non si sa nulla. La stessa elezione del Presidente della Repubblica sarebbe falsata in quanto i rappresentanti regionali verrebbero ad avere un peso sproporzionato rispetto al Parlamento. C’è poi da adeguare la legge elettorale.
Il problema quindi non è la riduzione del numero dei parlamentari che può pure esserci, ma come questo avviene e gli effetti che questa riforma, così come è congegnata, porta con sé.
La Costituzione è un bene prezioso che va tutelato soprattutto quando si vuol modificarlo. Accertiamoci che il nostro voto la valorizzi e la migliori e, invece, non la danneggi.