Nell’offerta del Figlio si rivela una smisuratezza che ci ricorda l’amore generoso di Dio.
Sono i colori, la luce e l’ombra i protagonisti del dipinto che conclude il ciclo pittorico dedicato alla Via Crucis di Paolino Rangoni. La narrazione è costruita con un linguaggio vivo, sincero, immediato e moderno, usando una materia “impastata”, spessa, lavorata con lunghe pennellate.
La resa pittorica della tela che va a chiudere la serie è particolarmente convincente, testimonianza non solo di un’abilità manuale, ma, soprattutto, di un insistito sforzo contemplativo. Attraverso un cammino intenso, doloroso, senza riferimenti temporali, Rangoni ci ha accompagnato fino alla quindicesima stazione, fino allo stupore della Risurrezione. Questo momento non appartiene soltanto a Pietro e Giovanni, ma a tutti noi fedeli che abbiamo camminato fino a qui, fino alla tomba ormai vuota.
Di fronte a noi, aldilà della nuda pietra che accoglieva il corpo di Cristo, vi sono i due apostoli. I loro volti riflettono il nostro stupore come uno specchio di sensazioni: Gesù non c’è più, di Lui è rimasto solo il sudario che lo ricopriva.
Giovanni è rappresentato mentre allunga una mano a toccare la stoffa, quasi timoroso, ma già consapevole dell’evento straordinario accaduto in quel sepolcro. Pietro, invece, è ritto in piedi con le mani giunte e l’espressione smarrita di chi ancora non comprende.
Alle loro spalle, sulla soglia della tomba, si stagliano, su una luce bianca splendente, i profili delle donne giunte al sepolcro guidate dalla Vergine Maria che alza le braccia verso l’alto. È il gesto potente della Madonna che ci attrae, ci cattura e fa risuonare nel nostro cuore le parole: “Mio Figlio è risorto!”
Il racconto del vangelo di Giovanni è molto più sobrio, più essenziale degli altri, segna solo gli elementi fondamentali dell’annuncio della risurrezione: la tomba vuota con la pietra tolta dal sepolcro, la presenza di Maria di Magdala che corre a informare gli apostoli, la corsa di Pietro e Giovanni che vengono al sepolcro per verificare il suo racconto e poi l’esperienza dei due discepoli. Pietro osserva e rimane stupito, l’altro discepolo vede le stesse cose e crede. Tutti e due hanno visto la stessa cosa, fatto la stessa esperienza, ma quando Pietro rimane stupito, Giovanni crede. Tra Giovanni e Pietro, c’è un modo diverso di affrontare il problema. Pietro è più lento, più solido. A Pietro serve tempo per cogliere la realtà di ciò che vede. Gesù ha fatto di lui la pietra sulla quale è costruita la sua Chiesa. Pietro avrà bisogno di tempo e di vedere, di toccare il Signore.
Giovanni, l’altro discepolo, invece crede subito, senza aver visto. Al sepolcro, coglie, anche se in forma iniziale, come sono andate realmente le cose. Che cioè il corpo non è stato rubato, ma Gesù è uscito vivo, nel suo corpo risorto, dai teli che lo avvolgevano. Giovanni è il più vicino del Maestro, era il discepolo che Gesù amava. E l’amore permette di capire ciò che gli occhi non vedono ancora.
È questo il momento che Paolino Rangoni vuole fissare sulla sua tela: siamo dentro la tomba vuota, il corpo di Gesù non c’è più, ma tutto il resto – i teli, il sudario – era rimasto nello stesso posto. Addirittura il sudario era rimasto avvolto nei teli, al suo posto iniziale. Gesù non lo aveva portato via qualcuno, ma Lui era uscito vivo dal sepolcro sottraendosi in maniera misteriosa alla sindone e al sudario che lo avvolgevano, fuori dalle leggi dello spostamento dei corpi, lasciando tutte le cose intatte. Per questo si può dire che lì, davanti ai teli giacenti, Giovanni iniziò a riconoscere l’evento della resurrezione. Il pittore fissa i sentimenti che traspaiono nei due apostoli. Pietro, più anziano, riflessivo, si sta interrogando profondamente (basta osservare le rughe che increspano la sua fronte); gira le mani – quasi nervosamente – per capire, per rendersi conto. La luce è arrivata sulla sua fronte stempiata, ma il cammino per arrivare a credere è ancora impegnativo. Ha davanti solo dei teli macchiati di sangue che sono un involucro vuoto: il corpo del Maestro non c’è più.
Giovanni, al contrario, sta accarezzando in maniera delicata e dolcissima, con la mano destra, quei teli; porta la sinistra al cuore perché probabilmente gli stava battendo fortemente per la gioia. Il suo volto è illuminato dalla luce, il sorriso sboccia dalle sue labbra, l’occhio è aperto: sta esplodendo la gioia nella vita di Giovanni! Vede, capisce, crede!
All’entrata di quella grotta, di cui si vede l’enorme pietra di chiusura appoggiata alla parete del monte, ci sono delle figure che il pittore colloca qui anticipando i testi evangelici: Maria la madre di Gesù e le tre mirofore. Nessun testo evangelico ci parla della presenza della Vergine Madre al sepolcro vuoto, nessun testo ci parla di lei dopo la risurrezione. Dobbiamo aspettare il Cenacolo di Pentecoste. Maria è qui, esultante, con le braccia alzate nella lode, già inondata dal sole di Pasqua, che canta la sua preghiera al Padre che ha tolto dagli inferi il figlio unigenito.
E poi le tre donne che arrivavano al mattino di Pasqua con gli aromi, infatti passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?” Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. (Mc 16,1-4).