Voto di responsabilità
di Don Matteo Zorzanello (direttore Ufficio di pastorale sociale e del lavoro)
Non è una cosa nuova affermare che il voto è uno dei diritti e doveri fondamentali di un cittadino. Una democrazia ha proprio nella dinamica elettiva uno degli elementi essenziali, cioè la possibilità per ogni cittadino di esprimere le proprie scelte e preferenze eleggendo chi dovrà prendersi cura del bene comune oppure esprimendo la propria opinione circa questioni importanti e centrali per la vita comune di una comunità.
Domenica 12 giugno, i seggi saranno aperti per rinnovare i Consigli Comunali di 971 Comuni italiani. E in contemporanea in tutti i comuni italiani i seggi saranno aperti per votare i 5 quesiti referendari sul tema della giustizia. Referendum promossi e proposti, come noto, dai Radicali e dalla Lega.
Essere chiamati al voto significa essere chiamati a compiere uno degli atti più importanti da cittadini. Non può mai essere considerata un’opzione discutibile e inutile oppure una perdita di tempo. Sia perché si tratta dell’espressione libera e personale di ognuno, priva di condizionamenti e costrizioni, sia perché diventa una precisa assunzione di responsabilità nei confronti della propria comunità. Essere chiamati al voto, infatti, chiede a ciascuno di formarsi un’opinione circa le questioni che vengono rivolte dal legislatore al cittadino (per quanto riguarda i Referendum), sia circa le proposte politiche e amministrative che i candidati presentano ai cittadini per immaginare il futuro delle comunità e paese.
Scegliere i rappresentanti ed esprimere la propria posizione su importanti questioni, perciò, non è inutile e non è mai da prendere “sottogamba”. Rinunciare ad esprimere la propria preferenza e la propria scelta nei riguardi dei candidati rappresentanti politici e amministrativi non solo non è conveniente, perché in questo modo affidiamo esclusivamente ad altri la visione del futuro del proprio paese, ma è anche un rifiutare quell’impegno alla corresponsabilità nei confronti della propria comunità che originariamente tutti ci riguarda.
A differenza del voto amministrativo e politico il referendum invece può prevedere anche la scelta consapevole dell’astensione. Non si tratta in questo caso di rinunciare al diritto/dovere di esprimere la propria preferenza ma di dichiarare la propria incompetenza nei confronti di questioni specifiche, tecniche e specialistiche di cui spesso sono difficilmente comprensibili tutte le implicazioni da parte di chi non è un “addetto ai lavori”. Beninteso, questa opzione, per essere eticamente valida, deve essere consapevolmente scelta… così può diventare una modalità per chiedere ai responsabili della vita civile e politica di assumersi le proprie responsabilità, senza delegare al voto referendario eventuali scelte che potrebbero sembrare poco convenienti dal punto di vista elettorale.
Per un credente questa dinamica diventa ancora più importante. Quante volte Gesù ha chiesto ai discepoli di prendersi cura degli altri e della propria comunità (ad es. quando, di fronte alla folla affamata, Gesù chiede ai discepoli di dar loro da mangiare, oppure quando chiede di fare altrettanto dopo aver lavato loro i piedi nell’ultima cena)? La concretizzazione del grande comandamento dell’amore (fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te stesso) non trova anche nell’espressione consapevole del proprio voto una sua realizzazione? Partecipare alla vita sociale politica del proprio paese perciò è un dovere da cittadini e anche da cristiani. Partecipare, parafrasando una celebre canzone di Giorgio Gaber, è ciò che rende possibile l’espressione della propria libertà.
F.P.
Perchè la consultazione abbia valore è necessario che votino almeno la metà più uno degli aventi diritto.
Forse mai come stavolta l’appuntamento alle urne per i cinque referendum per i quali gli italiani (per la precisione 51,5 milioni gli elettori) sono chiamati a votare la corrente domenica 12 giugno è accompagnato da uno scarso dibattito e, di conseguenza, da una scarsa conoscenza da parte della maggioranza dei cittadini riguardo alle questioni poste dai quesiti.
Oltre alle elezioni amministrative (che interessano 978 su 7.904 comuni italiani), la corrente domenica tutti gli italiani potranno dunque votare anche i cinque referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali
Sui tali quesiti, come si sa, gli elettori sono chiamati a pronunciarsi con un “sì”, con un “no” o anche con l’astensione, che nel caso di referendum assume anch’essa un preciso significato politico, poiché il numero dei votanti è determinante per la sua validità.
Una campagna referendaria così fiacca appare come il segnale anche di una iniziativa non così convinta dei promotori – Radicali e Lega – nel sostenerla. A sgonfiare l’interesse, c’è stata, vale la pena di ricordarlo, anche la bocciatura da parte della Consulta dei quesiti più dibattuti: quello sul “fine vita” e quello sulla depenalizzazione della coltivazione privata della cannabis.
Sono così rimasti i cinque quesiti sulla giustizia, alcuni dei quali con un carattere particolarmente “tecnico”, comprensibile di fatto solo a specialistici del settore. Questo fatto fa sorgere più di qualche interrogativo sullo strumento referendario e su quali siano gli ambiti in cui può essere correttamente impiegato. Va considerato, infatti, che appare improprio demandare ad un referendum abrogativo il buon funzionamento della giustizia, che necessita, giocoforza, di una riforma e di una riorganizzazione articolate e radicali.
Ma per i cittadini il dovere di informarsi e capire non viene meno, innanzitutto per sapere almeno quali effetti sortiranno dall’eventuale vittoria del “sì”, nel caso venga raggiunto il quorum.
È importante conoscere quali sono le problematiche ed il contesto che hanno portato ad avviare la raccolta firme per chiedere il referendum, poiché intorno a questi necessita un impegno non saltuario, ma convinto e fattivo, da parte del legislatore, degli addetti e dell’opinione pubblica, diversamente da quel che accade.
I cinque referendum al vaglio degli elettori sono referendum abrogativi, chiedono cioè l’eliminazione, totale o parziale, di leggi esistenti.
Perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum: deve cioè partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto (50% + 1 degli elettori). Affinché la norma oggetto del referendum sia abrogata, la maggioranza dei voti validamente espressi deve essere “sì”.
Va rilevato che alcuni dei quesiti intervengono su questioni che sono già presenti nel testo proposto dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia. Tale riforma della giustizia già votata alla Camera è ora in discussione al Senato. Restano da appurare gli eventuali effetti sui cinque referendum, qualora la riforma fosse approvata, promulgata e pubblicata prima del 12 giugno. Se le norme oggetto delle richieste abrogative risulteranno eliminate o modificate, sarà l’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione a valutare la sorte dei quesiti, che potranno anche essere trasferiti sulle nuove norme, se i cambiamenti introdotti non saranno tali da far venir meno le ragioni dei proponenti. Allo stato attuale, si può prevedere – sempre se la “riforma Cartabia” diventa legge in tempo utile, prima del 12 giugno – che almeno uno dei quesiti referendari sia destinato a decadere perché il suo contenuto è di fatto identico a quanto dispone la nuova legge.
Cinque schede per un potere giudiziario diverso
A.M.
Le proposte riguardano la legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere, la valutazione dei magistrati, il Csm.
Vediamoli nel dettaglio.
1. Abrogazione legge Severino (scheda rossa)
Il decreto legislativo che porta il nome dell’ex Ministro della Giustizia, Paola Severino, prevede che non possano né candidarsi né essere rieletti i parlamentari (deputato, senatore e membro del Parlamento europeo) e i rappresentanti di governo, che abbiano riportato una condanna definitiva alla pena superiore a due anni di reclusione per reati come mafia o terrorismo, peculato, corruzione o concussione, e per delitti commessi intenzionalmente per i quali sia prevista la reclusione non inferiore a quattro anni. Nello stesso caso, i parlamentari in carica decadono automaticamente. Per gli amministratori locali, l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica sono previste per coloro che sono stati condannati in via definitiva per reati gravi (come la partecipazione ad associazioni mafiose) o per reati commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri della loro funzione pubblica. La legge Severino cerca di attuare il principio costituzionale (art. 54 della Costituzione) che esige che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore».
Il decreto Severino ha un punto critico, perché prevede la sospensione automatica fino a diciotto mesi degli amministratori locali che abbiano subito una condanna non definitiva per reati commessi con abuso di potere: il referendum non affronta in dettaglio questa stortura (infatti, una sanzione deve essere eseguita solo dopo una condanna definitiva), ma propone l’abrogazione dell’intera normativa sull’incandidabilità e decadenza dei soggetti che ricoprono cariche elettive.
Se vincesse il “sì”…
gli eletti che hanno riportato una condanna definitiva continuerebbero a rimanere in carica.
2. Limitazione misure cautelari (arancione)
Le misure cautelari sono provvedimenti, previsti dal codice di procedura penale, con i quali sono privati della libertà personale (dall’obbligo di presentarsi ai Carabinieri o alla Polizia, agli arresti domiciliari, alla custodia in carcere) i soggetti nei cui confronti sussistono sia i gravi indizi della commissione di pesanti reati, sia il pericolo concreto o di fuga o di inquinamento delle prove o di commissione altri gravi delitti, ovvero della stessa specie di quello per cui sono indagati.
Le misure cautelari sono richieste dal Pubblico ministero e sono sottoposti a un duplice controllo: quello del Giudice per le indagini preliminari (Gip), che può respingere la richiesta del Pm. Se, invece, il Gip accoglie la richiesta e adotta una misura cautelare, il suo provvedimento è sottoposto all’ulteriore controllo del Tribunale del riesame. A loro volta le decisioni del Riesame sono sempre soggette al ricorso per cassazione.
Se vincesse il “sì”…
le misure cautelari basate sul pericolo della ripetizione del reato sarebbero applicabili solo nel caso in cui il pericolo riguardi l’uso della violenza o delle armi o di reati di criminalità organizzata. A titolo esemplificativo, non potrebbe essere emessa alcuna misura cautelare per i delitti di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, furto in appartamento, truffa aggravata, atti persecutori (lo stalking, se commesso “solo” con minacce, messaggi, telefonate, pedinamenti), pornografia minorile ecc.
È un quesito lunghissimo, composto da ben 1.068 parole (!), ed è estremamente tecnico.
La Costituzione prevede che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Il referendum propone l’abrogazione delle numerose disposizioni che danno la possibilità ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa.
La funzione requirente è quella del Pubblico ministero, che in un processo è il magistrato che rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice, che è invece chiamato a giudicare, valutando le prove dell’accusa e le ragioni della difesa. Oggi i magistrati, nel corso della loro vita professionale, possono passare da una funzione all’altra non più di quattro volte nel corso della loro carriera e con delle forti limitazioni.
Se vincesse il “sì”…
Si separerebbero nettamente le due funzioni: a inizio carriera il magistrato dovrebbe scegliere o per la funzione giudicante o per quella requirente, senza più la possibilità di passare dall’una all’altra. Le ragioni a sostegno del referendum sono una maggiore equità e indipendenza, che sarebbe garantita – dicono i promotori – solo da una netta separazione tra i magistrati che accusano e quelli che giudicano.
Chi è contrario alla modifica pensa che la modifica sarebbe incompatibile con la Costituzione. .
4. Equa valutazione dei magistrati (scheda grigia).
Lega e Radicali chiedono che alla valutazione dell’operato dei magistrati partecipino anche avvocati e docenti universitari.
Se vincesse il “sì”…
i membri laici avrebbero diritto di voto in tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari, con l’obiettivo, secondo i proponenti, di rendere più oggettivi e meno autoreferenziali i giudizi sull’operato dei magistrati.
5. Riforma del CSM (scheda verde)
Il Consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno della magistratura; ne fanno parte, di diritto: il Presidente della Repubblica, che lo presiede, il Primo Presidente e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati (e sono i cosiddetti membri “togati”), per un terzo dal Parlamento in seduta comune (sono i componenti “laici”). Oggi, se un magistrato vuole candidarsi per le elezioni del Csm, la sua candidatura deve essere presentata, e cioè sostenuta, da almeno venticinque altri magistrati.
Se vincesse il “sì”…
decadrebbe l’obbligo della raccolta delle firme di presentazione della candidatura: il singolo magistrato potrebbe candidarsi in autonomia e liberamente, senza il supporto di altri magistrati e senza, soprattutto, l’appoggio delle “correnti” che esistono tra i magistrati. Le “correnti” sono dei gruppi di magistrati che esprimono diversi orientamenti culturali all’interno della magistratura.
L’obiettivo del referendum – dicono i promotori – è quello di ridurre il peso di queste correnti nell’individuazione dei candidati, evitare la lottizzazione delle nomine e rimettere al centro le qualità professionali e la coerenza personale del singolo candidato, al di là dei suoi diversi orientamenti “politici”.
I contrari al referendum sostengono che marginalizzare il peso delle aggregazioni di magistrati nella elezione del Csm non può essere condiviso, perché in ogni organismo elettivo l’elezione dei rappresentanti comporta un confronto fra orientamenti culturali differenti, che svolgono una funzione di necessaria mediazione per evitare di trasformare le elezioni in una competizione individuale.
Per votare serve presentarsi al seggio con un documento di riconoscimento e la tessera elettorale che, in caso di necessità, si rinnova presso l’ufficio elettorale del Comune di residenza.
Chi vuole mantenere in vigore le norme che si propone di cancellare deve rispondere ‘No’ sulle schede. Chi invece è d’accordo con i promotori deve rispondere ‘Si’ in modo che non abbiano più valore di legge.
L’elettore può astenersi dalla partecipazione al voto per uno o più referendum. Questo significa che può legittimamente ritirare la scheda solo per alcuni referendum e rifiutarla per altri.
Le schede dei referendum sono di colore rosso, arancione, giallo, grigio, verde.