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Quando disobbedire diventa dovere e virtù

L'Azione Cattolica ha recentemente fatto memoria di coloro che si opposero al fascismo, a partire dal vescovo Rodolfi

23 Aprile 2025
in Diocesi, In primo piano
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Quando disobbedire diventa dovere e virtù

L'incontro organizzato dall'azione Cattolica in Biblioteca Diocesana il 5 aprile.

Quando Teresio Olivelli scrisse la sua «preghiera del ribelle», probabilmente non immaginava di condensare con tanta esattezza le ragioni profonde che, durante il ventennio fascista, spinsero moltissimi cattolici ad opporsi alla dittatura. E come lui, partigiano e socio di Azione Cattolica, tanti altri: donne, studenti, religiosi e laici, più o meno giovani, che lo scorso sabato 5 aprile, nella cornice della Biblioteca Diocesana del Seminario, sono stati ricordati nel corso di un incontro dedicato proprio al contributo che i cattolici diedero alla Resistenza. Promosso dall’Azione Cattolica vicentina all’interno del percorso “eVENTI di PACE”, quest’appuntamento ha voluto celebrare un tassello importante e talvolta dimenticato di quella decisiva esperienza che, con il contributo di molte forze politiche e sociali, diede vita all’Italia repubblicana.

La mattinata si è aperta con la lettura di un estratto di una lettera di Giorgio Mainar di, giovane studente vicentino il quale, lasciata la sua famiglia per unirsi alla Resistenza, non fece mai ritorno a casa, ucciso da una pattuglia tedesca lungo il tracciato della Linea Gustav, vicino Sulmona, dove operava come staffetta porta-ordini. Nel testo, letto per l’occasione da Enrico Zarpellon, traspare la passione e l’ardore giovanile per la verità, frutto della formazione cattolica ricevuta (era stato, pur giovanissimo, Dirigente diocesano di AC). A seguire il cantautore Davide Peron si è esibito in uno dei suoi intermezzi musicali, proponendo brani e pensieri che hanno fatto da cornice al tema della mattinata. Ha preso quindi la parola la prof.ssa Alba Lazzaretto, vice presidente dell’ISTREVI, che ha offerto una approfondita riflessione sul contribuito di tanti cattolici alla lotta contro il fascismo. Le sue parole, appassionate e documentate, hanno coinvolto ed emozionato.

La storica ha innanzitutto ricordato l’apporto di Mons. Rodolfi: questi, infatti, fu l’unico Vescovo in Italia a scomunicare i fascisti, a seguito dei fatti di Sandrigo del 1924, quando una squadraccia nera aveva fatto violenza contro due giovani sacerdoti, don Francesco Regretti e don Federico Mistrorigo, non avendo trovato in canonica mons. Arena, per il quale erano venuti. Il clero vicentino fu profondamente segnato dall’agire del suo presule e dall’opera intensa dell’Azione Cattolica. Come ha ricordato Lazzaretto, in realtà molti «cattolici vicentini non erano fondamentalmente o consapevolmente antifascisti, ma pensavano ad altro per ché la loro formazione mirava alla santità. I membri dell’Azione Cattolica, poi, anelavano alla perfezione spirituale, ad essere lievito nella società e avevano quindi tutto un modo di pensare e di vivere completamente diverso da quello che il fascismo prospettava».

Ben presto i fascisti compresero il pericolo che proveniva da questa “libertà di coscienza” e l’episodio ricordato da Lazzaretto del 29 maggio 1931 ne è un chiaro manifesto. Quella notte, infatti, la sede diocesana di AC – allora sita in Palazzo Nussi Stecchini a Ponte Pusterla – venne assaltata e vandalizzata. Il vescovo Rodolfi reagì subito inviando un fotografo per documentare la barbarie che, poi, fu stigmatizzata in una lettera «talmente forte, talmente grande che sarà diffusa non solo in Italia, ma in tutta Europa: nessun prelato aveva osato scrivere simili cose contro il fascismo». In essa si chiedeva esplicitamente conto alle autorità politiche delle violenze squadriste e, con arguzia letteraria, si invitavano le autorità fasciste a «tirare fuori prove, fatti e documenti che l’Azione Cattolica avesse ordito contro il regime». Per dare un’idea della portata dello scritto e dell’humus culturale di quegli anni, che risulterà fondamentale per la scelta di resistenza di molti cattolici, basti considerare che il Prefetto scrisse di lì a poco al Ministero degli Interni definendo Vicenza «la provincia più riottosa al fascismo». Per questo motivo i seguaci di Mussolini accolsero la notizia della morte di Rodolfi nel gennaio 1943 con sollievo, ma l’antifascismo morale dei cattolici era ormai consolidato.

L’entrata in diocesi di mons. Zinato, proprio nei giorni dell’8 settembre successivo, comportò una riflessione profonda su come atteggiarsi nei confronti di quella che era diventata a tutti gli effetti una forza di occupazione. Il 15 novembre del ’43, in Consulta diocesana, il Vescovo proibì, almeno a livello ufficiale, ai dirigenti di AC di prendere parte al movimento partigiano. Nel verbale di quei giorni si legge che gli «iscritti devono tenersi al di fuori della competizione. Ciò non significa fredda indifferenza, ma fattivo contributo di equilibrio, di carità cristiana. Nessun iscritto, tantomeno se dirigente, può assumere come tale attività partigiana». Il documento prosegue annotando come, dopo una vivace discussione, tutti convennero sul principio, ma facendo presente la difficoltà di attuarlo in campo pratico. Di conseguenza, ha proseguito la prof.ssa Lazzaretto, «se andiamo a vedere il numero di partigiani cattolici capiamo che la disobbedienza in questo caso è stata una virtù patriottica e anche morale. E le prime a disobbedire furono le donne, che in stazione a Vicenza davano vestiti ai soldati in partenza e ne aiutarono molti a non essere deportati come internati militari. Ci fu in sostanza una rea zione di popolo» che non poté che vedere come protagoniste quelle stesse donne che stava no alla base delle famiglie.

Una ricerca del prof. Spinelli ha raccolto oltre 1.500 nomi di ragazze e donne vicentine protagoniste silenziose della vicenda partigiana, che vanno ad aggiungersi ai 2.000 caduti per la lotta di liberazione, e alle tantissime persone – preti, suore, laici e laiche – che contribuirono nei modi più diversi alla resistenza. Che, ha sottolineato la Lazzaretto, «non si può dire sempre violenta: quasi sempre l’agire dei cattolici consisteva nell’attaccare le cose e non le perso ne, per evitare rappresaglie su quest’ultime». Torquanto e Franco Fraccon, Giacomo Prandina, Giovanni Carli, Giacomo Chilesotti, Gino Massignan, Gino Soldà, Mario Zoccai… sono solo alcuni dei nomi ricordati da Alba Lazzaretto a conclusione del suo intervento che, ha detto, agirono sempre «non per odio ma per pietas profonda».

Di particolare intensità è stata inoltre nella stessa mattinata la testimonianza di Cecilia Pegoraro, figlia di Nora Candia, staffetta partigiana, che ha letto estratti delle lettere che la madre inviò dal carcere di San Biagio durante la sua prigionia. Un nome, quello di Nora, che rappresenta solo uno dei molti che sono stati declamati ad alta voce al termine dell’incontro, in un momento toccante, in cui si è voluto fare memoria di oltre centosessanta uomini e donne, “ribelli per amore”.

Testimonianze che ci ricordano la storia, piccola ma decisiva, di quei «ribelli per amore» che come Olivelli e altri sacrificarono molto, spesso tutto, in nome di un amore più grande.

 

Dino Caliaro, Andrea Mainente

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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