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Tedeschi in fuga, gli alleati accolti con le campane a festa

23 Aprile 2025
in Italia
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Tedeschi in fuga, gli alleati accolti con le campane a festa

Una tradotta di prigionieri di guerra italiani caduti nelle mani degli alleati dopo l'attraversamento del Po.

Ameno di due settimane dall’inizio dell’offensiva alleata sulla Linea Gotica, il fronte tedesco già non esiste più: dopo aver superato il Po, a mezzogiorno del 24 aprile, l’VIII Armata inglese punta speditamente su Padova e Venezia; la V Armata americana risale la via Emilia e dilaga in direzione di Verona e delle città lombarde, mentre il 25 aprile 1945, riunitosi all’Istituto Salesiano di Milano, il C.L.N. Alta Italia proclama l’insurrezione generale e dichiara disciolto lo stato fascista. L’offensiva inglese rallenta solo tra Legnago e Rovigo, dove, in corrispondenza delle fortificazioni costruite lungo l’Adige dalla Todt nell’estate precedente, si teme una forte resistenza, ma i tedeschi nemmeno le usano ed i reparti dell’VIII Armata possono riprendere l’avanzata.

Padova insorge il 27 aprile: i partigiani ottengono subito la resa dei fascisti, ma devono combattere aspramente contro i tedeschi, che si arrendono solo a tarda sera; il giorno dopo, anche Venezia insorge, costringendo alla resa il presidio germanico. Il generale Freyberg può così ordinare alla II divisione neozelandese di avanzare velocemente in direzione di Trieste, contesa tra la nascente Jugoslavia di Tito ed un’entità statale italiana ancora molto incerta. Negli stessi giorni, anche le truppe della V Armata avanzano a ritmo incalzante, per arrivare a Verona e sbarrare la valle dell’Adige, la Valsugana ed i valichi del Bellunese: il comando americano vuole intercettare al più presto le numerose e bene armate formazioni tedesche provenienti dal Veneziano e dal Padovano, nel timore che possano ancora opporre una solida difesa, sfruttando le poderose linee di fortificazione costruite dalla Todt lungo la Pedemontana e ricreando le condizioni che avevano reso tanto difficile l’avanzata alleata durante i mesi precedenti. In tale contesto, le unità americane dell’88a e della 91a divisione raggiungono Vicenza il 28 aprile, dove i partigiani hanno già preso il controllo di buona parte dell’abitato, ma piccoli gruppi di tedeschi continuano ad opporre una resistenza fanatica, che bisogna eliminare casa per casa.

Nonostante il perdurare di questi combattimenti, l’avanzata continua implacabile: nel pomeriggio di domenica 29 aprile, le prime colonne della 91a divisione americana attraversano il Brenta in prossimità di Fontaniva, puntando su Castelfranco e Treviso, dopo aver sconfitto un’accanita resistenza tedesca. Nel contempo, l’88a divisione muove in direzione di Bassano, liberando in rapida successione Dueville, Sandrigo e Marostica, grazie all’apporto delle formazioni partigiane locali, che escono ovunque allo scoperto, per difendere i centri abitati dalle violenze e dai saccheggi dei nazisti in ritirata. La sera del 28 aprile, i primi reparti americani giungono alla riva destra del Brenta, all’altezza del ponte palladiano, e puntano all’Istituto Scalabrini, scambiato per una caserma: sono in vece accolti a braccia aperte da tre chierici di Boston (USA), che li informano sul ritiro dei tedeschi da quella parte della città. Il giorno seguente, Bassano vie ne risparmiata dal minacciato bombardamento, dopo che la città è liberata dai partigiani ed i soldati americani vi possono entrare trionfanti.

Le giornate del 29 e del 30 aprile sono però particolarmente drammatiche in gran parte del Vicentino: le truppe tedesche in ritirata, costituite da reparti in rotta, disorganizzati e disperati, ma anche da formazioni perfettamente in quadrate ed armate, sono di sposte a tutto pur di raggiungere i territori ancora sotto il controllo del Terzo Reich, ovvero il Trentino e l’Alto Adige. Quanto accade in questi momenti concitati è acutamente analizzato dal berlinese Kurt Baden, caporale tedesco: Sebbene ad un’analisi obiettiva della situazione […], non sia possibile trarre alcun vantaggio né da un’ulteriore difesa contro agli angloamericani né da una ritirata, tutti i comandanti continuano a dirigere verso nord i resti dei loro reparti, nonostante la resa incondizionata sia ormai cosa fatta. Nessuno riesce a decidersi, nessuno riesce a compiere quel gesto drastico che permetterebbe di porre fine al continuo logoramento delle masse che fluiscono continua mente verso il Brennero. Solo Dio sa se ciò dipenda dalla scarsa informazione dei responsabili, o dalla loro incapacità di agi re autonomamente dopo che la loro libertà di scelta è stata così a lungo soffocata dal comando superiore, o se invece continuano a credere nella possibilità di proseguire la guerra in Italia. […] Descrivendo le difficoltà in contrate dal suo reparto nel risalire il Brenta verso Bassano, lungo strade secondarie, il giovane caporale così continua: I più fortunati viaggiano su qualche veicolo, fino a quando la benzina non è esaurita. E quindi si prosegue a piedi o con una bicicletta sgraffignata a qualcuno. Si marcia a migliaia giorno e no e sulle strade sovraffollate. Ognuno cerca di restare unito ad un gruppo consistente, perché da soli si è per lo più spacciati. Quasi tu i hanno fame, dal momento che solo di rado si trova qualcosa di commestibile, anche perché il ritmo di marcia è frenetico e le veloci unità nemiche ci stanno continuamente alle calcagna.

Pur da diversa prospettiva, le stesse circostanze sono così riportate nella sua Cronistoria da don Giuseppe Fabris, il parroco di Friola, frazione del comune di Pozzoleone: I tedeschi passano a colonne, rubano biciclette, entrano nelle case e vogliono cibarie, bevono vino a piacimento. La gente dà tutto quello che le vie ne chiesto pur di aver salva la vita. Dalle ore 10 fino a sera, la zona di Friola è sempre dominata dagli aerei alleati, che si calano a bassa quota per mitragliare. Già parecchi automezzi vengono colpiti sulla strada Bassanese. Verso le ore 16 una colonna tedesca di carri armati si ferma dall’Asilo alla Chiesa per far fronte con cannonate ai patrioti, che agli argini ad est del Brenta sparano con la mitraglia. Ma subito dopo arrivano gli aerei e distruggono la colonna germanica sulla strada del Cimitero. Molti sono i morti che dagli stessi commilitoni vengono bruciati, e molti i feriti portati da susseguenti automezzi verso il nord. Gli inglesi però mitragliano i fuggitivi ovunque si trovano, sui campi, nei fossi, dietro le siepi o gli alberi. […] La gente durante le azioni di mitragliamento rimane asserragliata in casa, impressionata e paurosa; prega e ripete l’atto di dolore. Durante tutta la notte dal 28 al 29, le disfatte truppe del Reich continuano a passare ininterrottamente. Molti soldati si fermano nelle case, sembrano i padroni, vogliono di tutto, perfino riposare nei letti delle persone di casa. Al mattino non si aprono nemmeno le porte della Chiesa. Gli aerei inglesi sono qua appena diradate le ombre della notte. Mitragliano dappertutto, ci sono ondate di fumo che si alzano dagli automezzi, fuggiaschi colpiti che bruciano. Pare che tu o Friola sia in fiamme. In più alle ore 9 cominciano ad arrivare granate provenienti da Grantorto e San Piero in Gù, dove sono arrivati gli Americani e non cessano fi no alle ore 14. I Te deschi fuggono con una celeri tà mai vista. Sicuro! Giungono le voci che gli Americani hanno oltrepassato Longa e a marcia forzata avanzano su Bassano.

Lasciata Bassano e risalita con difficoltà la Valsugana, alcune colonne dell’88a divisione raggiungono il passo del Brennero, incontrandosi con la 103a divisione americana proveniente dalla Baviera: alle 10.41 del 4 maggio, si concludono così i combattimenti e quasi ovunque la popolazione civile festeggia con gioia. Quasi ovunque, perché la ritirata tedesca non era stata accompagnata solo da scontri armati con gli Alleati o i partigiani: una lunga scia di rappresaglie segna la ritirata di varie forma zioni tedesche anche negli ultimi giorni di guerra, passando per Pedescala, dove vennero uccise 63 persone tra il 30 aprile e il 2 maggio, per San Giorgio in Bosco, Sant’Anna Morosina, Villa del Conte, San Martino di Lupari e Castello di Godego, dove, il 29 aprile, 136 civili inermi e partigiani furono massacrati a raffiche di mitra, per Stramentizzo, Molina e Ziano di Fiemme, dove un reparto tedesco in ritirata trucidò 43 persone tra il 3 ed il 4 maggio 1945.

Con la fine della guerra, si chiudevano le tante pagine come queste, segnate da morte e dolore, ed altre si aprivano, più luminose, nel pur diffcile passaggio dalla guerra alla pace, da un regime totalitario ad una vita civile finalmente democratica, come scrive il coraggioso parroco di San Pietro di Rosà, don Anselmo Riello: Maggio 1945. Il mese dei fiori e della speranza ha visto fiori di giovinezza spezzati ma le speranze coronate. I carri armati entrano nel paese accolti da fiori e da squilli di campane. È la liberazione a cui contribuì l’organizzazione partigiana lasciando non poco delusa la gente di poca fede o di grande fede fascista. Il fascismo e il nazismo sono vinti. L’Italia è libera. La lotta fu lunga e dura, ma il coraggio più duro ebbe ragione delle forze nemiche. Vada questo breve promemoria a rendere più fulgida la pagina eroica della storia della nostra Patria; dalle urne dei morti ad egregie cose accendano il nostro cuore.

 

Francesco Tessarolo

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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