Uno strenuo difensore dei diritti umani, un uomo di pace e di non violenza, sempre in prima fila quando si trattava di aprire le porte della comunità in cui viveva per accogliere chi era in difficoltà: disabili, senzatetto, migranti o ex carcerati. Il tutto saldamente “in sella” alla sua carrozzina.
Sono trascorsi 10 anni dalla scomparsa di Mario Catagini, figura chiave e testimone luminoso del volontariato vicentino, cattolico, altruista e pacifista, espressione del carisma della Comunità Papa Giovanni XXIII. Catagini è stato ricordato lo scorso venerdì 21 febbraio nella Basilica dei Santi Felice e Fortunato di Vicenza, alla presenza di tanti parenti, amici, persone che con lui hanno percorso un tratto di strada e dell’Amministrazione comunale.
Dopo una giovinezza spensierata ad Altavilla Vicentina dove era nato il 17 agosto 1941, Mario Catagini, poco più che ventenne, rimase tetraplegico per un banalissimo incidente d’auto. Una situazione travolgente e durissima dalla quale piano piano riuscì a risollevarsi grazie alla famiglia e soprattutto all’incontro con le prime esperienze della neonata Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini fondata da don Oreste Benzi ad inizio degli anni ’70 alla quale è stato avvicinato dalle sue amicizie sfiorate come lui dalla malattia o dalla nuova condizione di disabilità.
Iniziò in lui un profondissimo cammino interiore che lo portò a riconoscere la vocazione della Comunità e ad aprirsi alla condivisione con le persone più fragili della nostra società. Sarà lui in Veneto il cofondatore della prima casa famiglia ed il primo responsabile dell’APG23. Come figura genitoriale di casa famiglia, dal 1981 tante persone vennero accolte e accompagnate dalla sua presenza paterna e fraterna, guida sicura e luminosa. Animatore instancabile ed appassionato delle lotte civili e nonviolente per il riconoscimento dei diritti delle persone disabili e per costruire città e paesi alla portata di tutti, eliminando le barriere architettoniche.
«Sono entrata nella casa famiglia fondata da Mario nel 1994, ho fatto con lui un bel pezzo di strada – racconta Michela Zamberlan -. Avevo conosciuto la Papa Giovanni durante un’esperienza estiva. Il mio percorso vocazionale si è intrecciato con la proposta di Mario di diventare una figura materna in casa famiglia. Nella Papa Giovanni non facciamo assistenzialismo, ma tutti si prendono cura di tutti. E Mario era presente con una sua autorevolezza, ma anche con tenerezza, discrezione e capacità di ascolto. Tante persone accolte da lui in passato sono ancora qui, dopo oltre vent’anni!».
Oltre che dedito alla casa famiglia, Mario sarà per decenni obiettore di coscienza alle spese militari per denunciare il fatto che le armi “uccidono” ancora prima di essere utilizzate. In prima fila a Vicenza dal 2007 in poi per evitare di costruire una nuova base militare. Soprattutto instancabile costruttore di relazioni con tutte le persone che lo hanno avvicinato, in primis tutti i giovani di cui lui ha avuto “bisogno” per le sue esigenze fisiche, ma che da lui hanno ricevuto un grande in segnamento di vita, di fede e di speranza.
Andrea Frison
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