La data di nascita non si dimentica: la ricordano tutti subito, senza esitazioni; si apre il cassettino giusto e torna alla mente senza fatica. È un piacere parlare di quando i capelli erano neri, biondi o castani, o semplicemente c’erano ancora, o magari del primo innamoramento. La confusione avanza man mano che ci si avvicina al presente: è più difficili mettere insieme i pezzi del puzzle, tutto si fa meno chiaro, diventa offuscato: che giorno è oggi? perché vieni qui?
C’è entusiamo, forse un po’ di imbarazzo, nel rispondere alle domande del nuovo ospite, ma qui nel servizio “In Gaja” di Dueville offerto dalla cooperativa “Margherita” di Sandrigo, vincono l’umorismo, la leggerezza, la gioia dell’accoglienza e dell’incontro. Si ride in faccia alla demenza e alla solitudine, con the, caffè e biscotti. «Sa cos’è la vecchiata? – ci chiede Walter, a fine settembre 87 anni -. È una brutta bestia, perchè colpisce dai pié fino alla testa». La testa di Walter funziona ancora bene: «Il momento più difficile è la notte – racconta -. Mi sembra di vedere mia moglie alzarsi dal letto e andare via. Da qualche tempo è in casa di riposo. Siamo stati insieme 62 anni. Appena posso vado a trovarla».
Nella barchessa di Villa Monza a Dueville, di fianco alla chiesa, negli spazi parrocchiali, c’è una stanza che tre volte alla settimana ospita un gruppetto di anziani fragili con Alzheimer, decadimento cognitivo o semplicemente soli e bisognosi di compagnia. «Il servizio, organizzato dalla cooperativa “Margherita”, è nato per alleviare il carico familiare – spiega la coordinatrice area anziani Silvia Carraro -. Ospitiamo gli anziani dalle 9 alle 13, pranzo compreso. Li andiamo a prendere e li riportiamo a casa». Desiderio scherza proprio sulla sua età . «Quanti anni ho? Boh, saranno 82-83». «Di che anno sei?», gli chiede con dolcezza avvicinandosi all’orecchio l’operatrice sanitaria Alice Gambaretto, 31 anni (intervista sotto). «Del 1935». «Guarda che l’anno prossimo il conto è tondo, non imbrogliare!». Risata generale. «Sono qui perchè mi hanno accompagnato e perché mi trovo bene», dice l’uomo. La moglie è a casa, il figlio lavora in Germania. Anche Ferdinando è qui per dare un po’ di sollievo alla moglie che si prende cura di lui giorno e notte. Parla veloce veloce e sottovoce, ha il morbo di Parkinson: «Con voi, in mezzo ai giovani mi trovo bene», scherza. «Mi è piaciuto soprattutto fare il segnalibro», racconta mostrando un lavoretto. Ogni mattina Alice e i volontari (box in basso a destra) propongono agli ospiti varie attività per stimolare la mente: piccoli calcoli, giochi di parole, disegni. «Il segnalibro ci ha richiesto un grande lavoro, vero Desiderio? – chiede Alice -. Li abbiamo realizzati e distribuiti nei vari negozi del paese invitando le persone a venire da noi a bere il caffè alle 10. Ci teniamo a farci conoscere e a conoscere persone nuove». La socialità aiuta l’Alzheimer, non lo può guarire, ma dona sollievo.
«Il ritorno che le famiglie ci danno è molto positivo. La persona ritrova un motivo per alzarsi al mattino, avere un impegno aumenta la motivazione, l’autostima, dà un senso alla vita, magari non si ricordano perchè vengono, ma sanno che qualcuno li aspetta. Alcuni familiari mi dicono che sono in piedi dalle 5.30 perchè non vedono l’ora di venire, creando non poco trambusto in casa. C’è chi ha decadimento cognitivo, chi vive l’isolamento sociale, varie storie di vita, tutte sofferte, ma anche bellissime», spiega la psicologa della cooperativa Marica Scremin. Severino, 86 anni, a Dueville è conosciuto da tutti. Per anni ha lavorato in una cartiera della zona. «E di chi era la cartiera?», chiede l’operatrice in dialetto: «Mia!», risponde senza esitazione. «Il momento che mi rende più felice è la sera, quando vado a letto, ma anche, qui, adesso, con tutti voi!». Commozione generale. Sono un po’ tutti duri d’orecchi così i gesti pazienti di Alice si ripetono, come un rito: si avvicina e riformula la domanda scandendo le parole. Franca è la più elegante. Maglioncino di cotone, foulard al collo, ha vissuto per anni a Milano, è tornata nel Vicentino per amore del marito. «Adesso però lui è “partito” e sono sola», dice. Filomena si muove con il bastone, ma non sta mai ferma. Rassetta, lava e asciuga le tazzine. Ha avuto 7 figli e ha sempre in mente il nipotino più piccolo, che va a trovarla per correre nel suo grande giardino. «In città si sente stretto», spiega. «Perché il servizio si chiama “In Gaja”?», chiediamo incuriositi. «Perché tornano bambini e li “portiamo” in braccio, che è il primo gesto di cura», conclude la coordinatrice Silvia Carraro.
Marta Randon
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