Quando la politica tocca un tema eticamente sensibile lo scontro va subito a mille e, al di là dei reali valori in campo, il dibattito scivola nello sterile scontro ideologico. Così è stato per il Ddl Zan che prevedeva misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, così è stato ed è ancora sulla questione del fine vita e così è ora sul dibattito sui diritti dei bambini delle coppie omosessuali e sulla maternità surrogata.
Lo scontro ideologico ha prima di tutto l’obiettivo di rinsaldare le rispettive file, di accentuare lo scontro, di spaccare l’opinione pubblica e di rendere impossibile un punto di mediazione che tenga conto dei reali valori in gioco.
Questi argomenti sono, peraltro, per loro natura, complessi ed estremamente delicati in quanto hanno a che fare con il vissuto, la sofferenza, il futuro delle persone. Basterebbe questo per dire come l’approccio ideologico sia sempre negativo e foriero di lacerazioni e risultati pessimi. Così è stato per il Ddl Zan dove l’ostinazione della Sinistra a non prevedere nessuna possibile modifica di un testo che da più parti si riteneva viziato da errori giuridici e per questo mal scritto,ha impedito di giungere a un punto di medizione utile a tutti.
Lo stesso rischia di accadere per il riconoscimento dei diritti dei bambini di coppie omosessuali. Il primo, fondamentale errore da evitare è mettere assieme tale questione con quella della maternità surrogata. Pur avendo dei punti di contatto le due problematiche sono differenti e come tali vanno trattate. Rispetto al primo tema (figli di coppie omosessuali) c’è da mettere al centro il bene del bambino che esiste e che ha bisogno di un contesto affettivo positivo e che nessun bambino deve sentirsi un figlio di serie B. Da qui si deve partire per valutare la situazione ed esprimere una soluzione normativa che tuteli davvero i bambini, il loro sviluppo e il loro equilibrio psico-affettivo.
Molto diversa è la questione della maternità surrogata. Premesso che il dare la vita dovrebbe configurarsi sempre come un gesto di amore gratuito e non il soddisfacimento di un bisogno (per quanto comprensibile) di maternità o paternità. Va poi evidenziato come la pratica della maternità surrogata configuri la vita come un prodotto e non come un dono, negandone la sua stessa essenza e aprendo prospettive quanto mai preoccupanti (e umilianti) per il corpo della donna che viene considerato a tutti gli effetti una macchina. Questa prospettiva, peraltro, appare come uno dei frutti avvelenati di un individualismo imperante che da tempo caratterizza anche la nostra società.
La riduzione della vita a un prodotto ha come conseguenza lo sviluppo della pratica commerciale dell’utero in affitto, con dinamiche che non hanno nulla a che fare con l’idea della vita come dono da promuovere e non cosa da vendere o comperare. Anche per questo va vietata. Certo se si vuole contribuire seriamente a sviluppare un dibattito che faccia cogliere le vere questioni da tutelare, sparate come quelle del deputato che ha affermato che la maternità surrogata è più grave della pedofilia certo non aiutano.
I cattolici in tale contesto possono dare un contributo significativo per andare al di là della contrapposizione ideologica e far emergere il senso profondo di certe scelte e di valori primariamente umani. Con questo obiettivo vanno recuperati equilibrio e serietà così da avere un dibattito degno di questo nome e che davvero si concentri sul valore della vita che dovrebbe rappresentare il bene comune, riconosciuto trasversalmente al di là delle appartenenze politiche.