Sono quasi 1,5 milioni i profughi siriani in Libano su una popolazione di 4milioni e mezzo di persone. Il Paese, tanto musulmano quanto cristiano, grande come l’Abruzzo, ospita il più alto numero di rifugiati pro capite al mondo e oggi risulta profondamente segnato dalla crisi economico-politica.
Per i siriani le condizioni di vita sono sempre più allarmanti: secondo una ricerca dell’Unhcr nel 2018 il 76% delle famiglie provenienti dalla Siria vive sotto la soglia di povertà, e ciò si riflette anche sul piano sanitario. Per offrire cure ai profughi a ottobre 2018, nel Vicentino, è nato un gruppo di medici che presta servizio nei campi vicini a Tel Abbas, a 4 chilometri dal confine con la Siria. «Ci chiamiamo “Medici fra le tende” e cerchiamo di rispondere alle necessità di chi visitiamo – dice Barbara Toniolo, medico di base di Valdagno, fondatrice del gruppo -. Siamo una ventina: è una goccia nel mare, ma siamo convinti che non si possa più restare indifferenti di fronte alle sofferenze».
Ma i fattori che rendono difficile la vita dei profughi sono anche altri: solo il 19% delle famiglie ha il permesso di residenza legale per tutti i suoi componenti.
Ottenere questo documento è diventato quasi impossibile: costa troppo, serve un’occupazione e una lettera di accompagnamento di un datore di lavoro. Senza il “permesso di soggiorno”, però, non si può avere accesso ai servizi pubblici, alle cure mediche, non si può ricevere un certificato di nascita o muoversi senza venire arrestati ai checkpoint. Il 74% dei siriani in Libano non ha una residenza legale e solo il 17% dei genitori tra i rifugiati riesce a registrare la nascita dei figli. Raid e arresti sono all’ordine del giorno, così come le tensioni tra siriani e comunità locale.
«Il clima è molto teso, gli episodi di razzismo sono frequenti. I siriani sono diventati il capro espiatorio delle difficoltà che sta attraversando il Paese – spiega Caterina Ferrua di Operazione Colomba, 27 anni– In quest’ultimo periodo l’esercito libanese sta arrestando un’ottantina di siriani al giorno. La gente è spaventata».
Il Libano non ha firmato la Convenzione di Ginevra e, quindi, non riconosce lo status di rifugiato; ciò si traduce nella mancanza di campi di accoglienza strutturati. Continua Caterina: «Per legge i siriani possono lavorare solo nel settore delle costruzioni e in quello agricolo. Il lavoro nero, sottopagato, è sempre più diffuso».
Operazione Colomba, corpo di pace della comunità Papa Giovanni XXIII, è impegnata in Libano dal 2013. La sua presenza è fissa nei campi di Tel Abbas, dove vivono circa 280 persone. «Viviamo con loro nelle tende, condividendo la quotidianità. A chiederci di restare sono stati proprio i siriani impauriti dalle minacce ricevute dai libanesi. Di fatto la nostra presenza ha aiutato e ancora aiuta a mantenere basso il livello di tensione tra rifugiati e popolazione locale».
Operazione Colomba opera nel Nord del Libano aiutando i profughi nelle necessità di tutti i giorni e favorendo le relazioni tra siriani e libanesi. «Siamo l’unica organizzazione che vive stabilmente in un campo profughi e ciò ci permette di intervenire rispetto alle loro esigenze. Accompagniamo i rifugiati in ospedale, oppure all’Onu a Tripoli, evitando che siano arrestati dai soldati».
Per i bambini, circa 500 mila, il governo ha istituito delle scuole formali che si affiancano a quelle informali organizzate da varie ong. «Lo Stato ha deciso, però, di tener separati i bimbi siriani da quelli libanesi con due orari scolastici ben diversi. Le maestre, però, sono le stesse e molto spesso sono costrette a lavorare per 10 ore di seguito con ovvie conseguenze sull’insegnamento»
Il corpo di pace della Papa Giovanni XXII collabora anche con il progetto dei corridoi umanitari. «Ogni giorno riceviamo richieste di persone che ci implorano di aiutarle a cambiare vita. I riflettori sulla Siria, però, si sono abbassati e così i fondi destinati a queste persone sono venuti meno».
Articolo tratto dal numero di domenica 28 aprile