Mentre il mondo si dimostra sempre più diviso e bellicoso, vi è quest’anno un segno di unità che ci conforta: dopo alcuni anni che non accadeva, tutte le chiese e le confessioni cristiane celebrano in questa stessa domenica la Pasqua del Signore. Sul calcolo della data della Pasqua, festa mobile per eccellenza (come quella ebraica) i cristiani si sono a lungo divisi. Nei primi secoli si registrarono sull’argomento accese diatribe, in cui si mescolavano ragioni teologiche, astronomiche e canoniche che diedero vita a prassi diversificate.
Il Concilio di Nicea, di cui ricorrono quest’anno i 1700 anni, ritenendo un vero scandalo che si potesse litigare sulla Pasqua, pose fine alle dispute e stabilì che questa si celebrasse per tutti la domenica successiva alla prima luna piena di primavera (quest’anno verificatasi il 13 aprile). Ma a dividere di nuovo i cristiani fu nel 1582 la riforma del calendario attuata da papa Gregorio XIII per correggere lo scarto maturato dal vecchio calendario promulgato ancora da Giulio Cesare. Mentre infatti il mondo latino passava al calendario “gregoriano” (recuperando così una decina di giorni di ritardo accumulatisi nei secoli), quello orientale restava fedele al vecchio calendario “giuliano”, continuando dunque anche a calcolare su quello la data della Pasqua. Di qui la differenza tra mondo cattolico e riformato (che progressivamente adottò il nuovo calendario, “papista” certo, ma – si riconobbe a malincuore – astronomicamente corretto), e quello dei cristiani ortodossi e di alcune chiese cattoliche di rito orientale che si trovarono a celebrare il Natale il 7 gennaio, ma anche a continuare a calcolare la data della Pasqua secondo l’antico metodo elaborato da Dionigi il Piccolo, senza i correttivi introdotti dai matematici e dagli astronomi di papa Gregorio.
Fin dalla sua elezione, papa Francesco ha auspicato che i cristiani di tutte le chiese possano tornare a celebrare in una data comune la Resurrezione del Signore, scegliendo eventualmente anche un giorno fisso (alcuni propongono ad esempio la seconda domenica di aprile, tenendo conto che Gesù sarebbe morto il 7 di aprile e che la Pasqua di Resurrezione non può che essere celebrata di domenica). Una soluzione di questo tipo semplificherebbe certo il percorso ecumenico (senza costringere nessuno a rinunciare al proprio calendario), ma di contro renderebbe meno evidente il rapporto tra la Pasqua ebraica (mobile e calcolata sulle lune) e quella cristiana. Diverse e complesse dunque le questioni ancora sul tavolo perché l’auspicio del Papa, condiviso da numerosi rappresentanti del mondo ortodosso, possa concretizzarsi.
Intanto comunque per quest’anno la data comune c’è, non per scelta, ma come dono. Un dono avvertito provvidenziale dato il Giubileo, l’anniversario di Nicea e, dicevamo all’inizio, l’alto tasso di conflittualità e divisione presente nel mondo. Che i calcoli, partendo da presupposti diversi e seguendo procedimenti differenti, per una volta coincidano, può essere letto come un segno di speranza. Un segno che ci ricorda come l’unità e la pace, così difficili a realizzarsi per l’essere umano, sono però possibili come dono di Dio.
Pasqua allora come passaggio dall’animosità alla concordia, dal conflitto alla fraternità, dall’incomprensione all’accoglienza, dalla divisione all’unità, da tutto ciò che è morte alla vita. Perché accada nel mondo, deve avvenire prima nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E perché accada nel cuore di ognuno, Cristo deve risorgere in ciascuno, facendo morire l’uomo vecchio, come dice San Paolo, quello cioè segnato dall’orgoglio e dal desiderio di sopraffazione, cioè di affermazione di sé a spese del prossimo. Solo quando non avremo più nulla da difendere potremo vivere come fratelli. Pasqua, a ben guardare è proprio questo: con Cristo morire a noi stessi, perché Cristo viva in noi, donandoci la sua libertà interiore, la sua gioia, la sua pace. Qualunque sia la data, è un appuntamento da non perdere.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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