A pochi giorni dalla prima Assemblea nazionale del cammino sinodale svoltasi a Roma nello scorso fine settimana, il quotiano cattolico Avvenire ha diffuso i risultati della ricerca Italiani, fede e Chiesa, commissionata al Censis dalla Conferenza Episcopale Italiana. Il quadro che ne emerge descrive un Paese che “si sente” essenzialmente ancora cattolico, che si riconosce nei valori della fede cristiana e che dedica del tempo alla preghiera e all’interiorità, ma in cui la frequenza alla Messa è in costante calo, così come la fiducia nella Chiesa istituzionale e nei suoi ministri. Quali tra gli aspetti emersi da questa ricerca meritano una particolare attenzione anche nel contesto del cammino sinodale diocesano in corso? Ne parliamo con don Simone Zonato, docente di scienze antropologiche e sociali presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Arnoldo Onisto di Vicenza e presso la Facoltà Teologica del Triveneto a Padova.
Questa indagine arriva un po’ a sorpresa, ma forse quanto mette in luce non è poi così sorprendente…
«La ricerca è stata realizzata con tempistiche molto brevi e su un campione rappresentativo di 1.000 individui adulti (18 anni e oltre). I risultati rilevati mi sembra confermino sostanzialmente quanto già era emerso nelle ricerche più recenti a livello nazionale condotte da Franco Garelli e Roberto Cipriani. Il riferimento al cattolicesimo in Italia tutto sommato regge, ma in un contesto di appartenenze che potremmo definire “poliedriche” e non più “monolitiche” come un tempo. Del resto quello di una marcata “personalizzazione” dell’esperienza religiosa è un dato che viene evidenziato dalle ricerche sui giovani degli ultimi anni (sia a livello di Triveneto sia a livello nazionale)».
La ricerca evidenzia a questo proposito un “individualismo” religioso di giovani e adulti, pur in un bisogno di spiritualità che non è affatto tramontato. Ma non è che rischiamo di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto e di fermarci alla prima parte dell’affermazione?
«Preferirei non usare la parola “individualismo”, che porta sempre con sé comunque una connotazione negativa. “Personalizzazione” credo esprima meglio, in modo più rispettoso ed efficace, la pluralità dei vissuti delle persone di oggi. Già nel 1979 il sociologo e teologo Berger scrisse, del resto, un libro intitolato provocatoriamente “L’imperativo eretico”, per sottolineare questo bisogno di originalità e autonomia che caratterizza nella “post-modernità” l’esperienza religiosa di ogni singola persona. È chiaro che in un tale contesto ad essere in crisi non sia tanto la dimensione religiosa o la ricerca spirituale del singolo, ma l’esperienza istituzionale di chiesa, la sua mediazione degli aspetti religiosi e spirituali. D’altro canto la distinzione marcata tra cattolici praticanti e cattolici non praticanti è frutto forse di un valore eccessivo attribuito alle “pratiche visibili”, che non tiene conto della pluralità e dei percorsi spirituali delle persone. L’etichetta “praticante”, nata proprio in contesto sociologico, rischia di non tener conto delle sfumature di sensibilità nei vissuti religiosi delle persone. Forse dovremmo superare uno sguardo ristretto, concentrandoci di più sulla pluralità di aspetti che invece fanno intuire una significatività del cristianesimo anche nel mondo di oggi».
Quali sono dunque gli elementi positivi che non andrebbero sottovalutati?
«Se da un lato i cattolici che si definiscono praticanti sono solo il 15 % della popolazione, dall’altro va notato che un 70 % della popolazione si ritiene cattolico e non solo per una questione di formazione culturale. Per oltre il 60 % degli intervistati gli insegnamenti spirituali di Gesù sono i migliori di cui disponiamo e ispirano in qualche misura le proprie scelte di vita. Sempre per il 60 % degli intervistati esiste una vita dopo la morte; il 66 % risponde di pregare almeno qualche volta (e tra questi c’è perfino un 11 % di coloro che si erano nella stessa indagine definiti atei). Un dato in crescita riguarda coloro che coltivano la propria spiritualità, praticando la meditazione, pregando, andando in chiesa (non è detto che lo facciano per la Messa), vivendo un pellegrinaggio, leggendo un libro, rimanendo in contatto con la natura. Quello che, di contro, fa riflettere è come tra cattolici praticanti vi sia un 12% che non crede nella vita dopo la morte e un 10 % che sembri non considerare il Vangelo fonte di ispirazione per la propria vita».
Resta il fatto che alla Chiesa e ai preti vengono mosse obiezioni pesanti, soprattutto dalle donne…
«Quello della disaffezione e della critica del mondo femminile alla pratica religiosa e al vissuto ecclesiale è probabilmente uno dei fattori di maggiore visibilità e sensibilità, indice di quel “cambio d’epoca” di cui tante volte parla il Papa. La cosa interessante che emerge dall’ultima ricerca, è che le donne oltre a rimarcare il maschilismo dell’istituzione ecclesiastica e reclamare in essa maggiore peso decisionale e responsabilità (una richiesta comunque condivisa dalla maggior parte dei cattolici, sia uomini che donne), sembrano prendere le distanze dall’istituzione ecclesiastica più di quanto facciano gli uomini a causa degli scandali che l’hanno riguardata e che la rendono ai loro occhi incoerente e poco credibile. Altri aspetti di cui la Chiesa dovrebbe tener conto nel proprio cammino di riforma è la richiesta di parlare un linguaggio più vicino a quello della gente e di non emarginare i fedeli più validi e preparati, quelli che, proprio per la loro capacità di pensiero critico, spesso si ha l’impressione vengano estromessi dal vissuto e dalle scelte ecclesiali».
E tuttavia solo il 20 % degli intervistati pensa che la Chiesa sia destinata a scomparire…
«Probabilmente la Chiesa è percepita come “il vaso di coccio che contiene un tesoro prezioso” e si crede comunque nella sua possibilità di riformarsi e di cambiare le sue strutture per continuare a portare nel mondo quel messaggio che la maggioranza riconosce come positivo e necessario».
I cattolici praticanti, per quasi il 60%, affermano che la chiesa dovrebbe adattarsi di più al mondo contemporaneo e non sembrano volersi rassegnare alla logica del “pochi ma buoni” che spesso sentiamo invece propugnare. Rifiutare di essere una minoranza è un atteggiamento positivo o negativo?
«Direi positivo. Innanzitutto fa parte della dimensione evangelizzatrice, missionaria e anti-settaria del cristianesimo. Ma poi credo che questo ritornello che “siamo oramai minoranza”, che tante volte ripetiamo e ci sentiamo ripetere, sia una pericolosa tentazione retorica, una giustificazione a volte di una mediocrità che abita le nostre comunità, una mancanza di impegno nel fare le cose o addirittura la razionalizzazione di un complesso di inferiorità e di una frustrazione che ci portiamo dentro. Il messaggio che ci arriva anche da queste ricerche sociologiche è che la Chiesa è portatrice di un messaggio bello e prezioso, ma in cui forse anche noi a volte sembriamo far fatica a credere veramente».
Come valuta il cammino sinodale in corso anche a livello diocesano, a fronte di queste istanze?
«Appare chiaro che bisogna fare delle scelte e che queste non sono più rimandabili. Razionalizzare, snellire e rivitalizzare la presenza della Chiesa sul territorio è una necessità, anche se quanto decidiamo ora non potrà che risolvere alcuni problemi a breve termine. I mutamenti sono troppo rapidi e continui per pensare di poter sistemare le cose come fece ad esempio il Concilio di Trento, creando un’organizzazione che è durata sostanzialmente uguale per cinque secoli. Nella ristrutturazione delle unità pastorali in corso vedo due aspetti cui penso sia necessario porre molta attenzione: l’effettiva valorizzazione dei laici (che da un lato viene affermata, ma che poi sembra sminuita da un processo riorganizzativo che mette comunque ancora al centro i preti) e l’omologazione di tutti i territori ad un unico modello: fare pastorale in un contesto di centro storico non è la stessa cosa che farlo in un contesto di periferia o rurale, o montano. A volte ho l’impressione che non si tenga abbastanza conto del capitale umano, materiale, culturale, sociale della gente che vive nei diversi territori. La tentazione può essere, ancora una volta, di fare di tutta l’erba un fascio. In questo senso sarebbe interessante e utile se dal processo sinodale nascessero anche sperimentazioni di modelli diversi, come questa “post-modernità” richiederebbe e non il tornare ad una omologazione e ad un modello unico di parrocchia o unità pastorale che potrebbe rispondere più a necessità di burocrazia ecclesiastica che al reale vissuto della gente».
Alessio Graziani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Evviva il buon Don Alessio!
Emanuela
Al caro don Alessio: Pier Damiani, Ritmo sulla gioia del Paradiso, in Gregorio Magno e la Regola, Città nuova, Roma.
L’anima inaridita è assetata della vita eterna. Imprigionata, cerca di spezzare al più presto le catene della carne, arde dal desiderio, anela, esule si sforza di entrare nella patria. Mentre ancora geme soggetta alle pene e ale angustie e contempla la gloria che perse allorché commise peccato, il male presente cresce al ricordo del bene perduto. Liberati da ogni corruzione non conoscono più guerra; La carne, divenuta ormai spirituale, e l’anima hanno un unico sentire, godono di grande pace, non recano segni di male. Liberi da ogni mutamento, tornano all’origine e contemplano il volto della verità sempre presente a loro; da qui attingono la dolcezza vitale della fonte viva.
Buon Avvento
Emanuela
Al caro don Alessio. Beda il Venerabile, Storia ecclesiastica degli Angli I, 26 in Patrologia latina, vol. 95, col 57.
Molti, abbandonando la religione pagana, si accostarono ogni giorno ad ascoltare la Parola e, con fede, si unirono alla Santa Chiesa di Cristo. Si dice che il re, pur rallegrandosi della loro fede e conversione, tuttavia non forzasse nessuno al Cristianesimo, soltanto stringeva con vivo affetto i credenti, quasi condividessero con lui il regno celeste. Infatti avevano appreso dai maestri e da coloro che ne avevano facilitato la conversione che non si può credere in Cristo per costrizione, ma solo per fede.
Grazie di cuore..
Buon Avvento
Emanuela
Al caro don Alessio Graziani. Aenigmata angli, La poesia carolingia. Se la fanciulla candida semina lacrime nere, i bianchi prati ricopre di scure tracce, che portano alle corti lucenti del cielo fiorito di stelle.
Buon Avvento
Emanuela
Al caro don Alessio Graziani. Aenigmata Hexsastica, in Le lettere, trad. G Agosti, da F. Stella. La poesia carolingia
Nere sorelle nasciamo alla cuna di luce, tre genitori ci creano in un unico atto. Multiforme l’aspetto e molti anche i nomi, diverso il valore, diversa la voce nel suono. Solo in casa nostra ci puòi trattenere, e una risponde solo se un’altra l’ìinterroga.
Buon Avvento con tanto affetto in questa giornata piovosa
Emanuela
Walafrido di Strabone, All’amico, in F F Stella, La poesic carolingia, trad F. Stella.
Quando la luce pura brilla di luna in Cielo tu mettiti all”aperto e guarda bene spettacolo stupendo, come la luna splende fuoco di torcia puro e col bagliore suo riesce ad abbracciare due amici con il corpo già lontani, ma stretti dall’affetto della mente. Se il volto tuo non può guardare il volto di quello che ti ama, almeno a noi la luna resti pegno dell’amore. Questi versetti ti mando fedele amico, e se dalla tua parte è ferma di fedeltà ben ferma la catena, ti prego, sii felice, nei secoli dei secoli.
Emanuela
Pseudo Dionigi Aeropagita, la gerarchia celeste II f,
Co la maggior semplicità la parola di Dio si è servita di sante funzioni poetiche applicandole agli spiriti senza forma, in considerazione, come è stato detto, del nostro intelletto, provvedendogli una via di ascesa familiare e connaturale e foggiando per lui le scritture atte a questa ascesa.
Buon Avvento a tutti Emanuela
Buongiorno cari, si avvicina il Santo Natale. Sulla mia povera mensa, essendo io addetta alla cucina, ci saranno risotto coi tartufi di Norcia, spuntature di maiale- in veneto, Koinè linguistica, sparagagna, risparmia- e braciole, cibo contadino. Miseria e nobiltà convivono così. Tutto questo per la gioia dei miei nipotini.
Quando studiavo all’Università avevo scelto l’indirizzo medioevale, così, per farvi sorridere e scaldare il vostro cuore vi invio un breve saggio riguardo alle tracce dello spettacolo nell’ Alto Medioevo. Alle feste paraliturgiche, al ludico capovolgimento della gerarchia ecclesiale non si opponevano certo le autorità civili, tant’è che la cronaca di Eccardo, maestro del coro di San Gallo nell’odierna Svizzera, registra come il re Corrado I, per premiare la devozione dei giovani monaci, concedesse loro per il Natale del 911, tre giorni ad ludendum. Nei secoli successivi le feste paraliturgiche e l’eredità sovvertitrice della Calende pagane sarebbe culminata nelle feste dei folli, aggregando fedeli, chierici e giullari nella degenerazione dell’Ufficio liturgico.
Ecco la Coena Cypriani:
Si sparecchia. Ciascuno vuole andarsene. Ma il re dispone che ciascuno cambi nuovamente abito, tornando ad essere quel che era prima. Gesù riassume le vesti di maestro, Nembrod quelle di cacciatore, Pietro torna pescatore, Adamo ortolano, Tobia medico ecc.
Dopo ciò si recano doni al re. Abramo offre una pecora, Tecla un toro, Rebecca un cammello, Levi dei Pinocchi, Mosè due tavole ecc.
Ma il re viene a conoscere che vari oggetti gli sono stati rubati. Infatti Agar aveva rubato una coperta, Rachele il sigillo aureo, Tecla uno specchio d’argento, Beniamino una coppa, Tamar l’anello signatorio, Giuditta un copertoio di seta, Davide la lancia del re, Abimelech la moglie di un altro.
Il re indignato ordina che tutti siano messi ai tormenti. E così per primo viene decollato Giovanni, Adamo scacciato; Zaccaria si fa muto, Giacobbe se la dà a gambe, Nabucodonosor stupisce, Eva interrogata cerca un compagno nella colpa, Pietro nega tre volte.
Senonché tutti hanno un po’ la coscienza turbata. Incominciano le accuse e le discolpe. E finalmente si prova a Gioele che il reo è Achar. Presto viene preso, condannato e messo a morte.
Il re ordina che sia sepolto. Efron vende il suolo, Abramo lo compera, Nachor fa il monumento, Caino lo costruisce, Marta vi sparge gli aromi, Noé lo chiude e Pilato ne detta l’epigrafe. Dopo di che ciascuno torna a casa.
Sorridete! E buon Avvento Signora Marta, caro Don Alessio e caro signor Andrea
In fede
Emanuela
Buongiorno don Alessio: emozioni. Le dedico un video di un cantautore che amo molto, Luciano Ligabue: Piccola stella senza cielo. Così ero io a 12 anni.
Evviva Teresina e l’infanzia perenne.
Con affetto Emanuela