“Il male ha i giorni contati, il futuro è di Dio”. Parole forti, certamente controcorrente, cariche di fede e soprattutto di speranza. Ancor più impressionanti perché pronunciate da un uomo anziano e visibilmente affaticato, cui sempre più spesso manca il fiato per gli interventi ufficiali, ma che poi si rianima per stringere mani, ringraziare e regalare sorrisi, carezze e caramelle ai bambini.
Papa Francesco ha 88 anni, evidenti difficoltà respiratorie (che lo rendono ancor più insofferente ai protocolli, alle lungaggini liturgiche e alle formalità) e per benedire alza il braccio destro aiutandosi con il sinistro… eppure trasmette speranza, assicurandoci che “il male ha i giorni contati”.
Al Giubileo della Comunicazione sabato scorso in Aula Paolo VI esordisce ringraziando gli oltre cinquemila operatori dei media presenti e provenienti da tutto il mondo per il lavoro che fanno. Lo definisce una “missione importante, necessaria per costruire ogni giorno la Chiesa e la società”.
Poi scherza con i presenti: “Tra le mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora con lo stomaco che comincia a muoversi leggere un discorso di nove pagine sarebbe una vera tortura…”. Consegna allora il testo al Prefetto del Dicastero per la Comunicazione con l’invito a diffonderlo. Lui, che aveva pensato di doverlo leggere al posto del Papa, viene subito bloccato dal Pontefice che riprende invece a parlare a braccio ricordando l’essenziale e cioè che “comunicare è uscire da sé stessi, per donarsi all’altro, incontrare l’altro” e che proprio per questo è un a o che esige autenticità. “Non si tra a solo di comunicare la verità – conclude il Papa -, ma di essere veri”, autentici nell’atto comunicativo. Perché la comunicazione è qualcosa che appartiene all’essenza stessa di Dio.
A questo punto appare evidente che anche noi giornalisti siamo stati chiamati a Roma non per inopportune auto-celebrazioni, e tantomeno per fotografarci insieme al Papa (che tristezza la selva di telefoni alzati anche nei momenti che più dovrebbero invitare al raccoglimento).
Francesco ci ha voluto a Ro ma per rispondere a quell’appello che ogni Giubileo porta con sé: la conversione. Passare sotto la Porta Santa non è un gesto magico o folkloristico, è una seria dichiarazione di disponibilità al cambiamento e, insieme, una richiesta di aiuto dall’Alto. E il cambiamento che il Papa chiede in questo Anno Santo ai giornalisti e a tutti gli operatori della comunicazione è quello prima di tutto di essere autentici, cioè coerenti e personalmente coinvolti nel racconto della realtà; e poi quello di generare con il proprio lavoro fiducia e speranza e non paura e disperazione, pregiudizio e rancore. Convertirsi per un comunicatore significa non usare le parole come lame e non far prevalere i paradigmi della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio, della manipolazione dell’opinione pubblica.
Si tratta di operare, invece, senza protagonismi, tessendo trame buone di mitezza e di prossimità, raccontando con il cuore storie intrise di speranza. Tutto questo non vuol dire tacere o negare il male che accade nel mondo, ma mettere in luce come ogni volta che cade una bomba c’è anche chi si prende cura dei feriti, una comunità che si mobilita, che non si arrende e non si rassegna, perché davvero convinta che “il futuro è di Dio” e dei suoi amici.
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