Una campagna di donazioni per far tornare in vita un segno di pace cristiana. Nel monte Tabor, a 400 metri di altezza in Israele e a 50 chilometri dal Libano, lì dove secondo i Vangeli duemila anni fa Gesù visse la trasfigurazione e l’incontro con i profeti Mosè ed Elia, un gruppo di archeologi e religiosi ha avviato un crowdfunding per recuperare il mosaico della pavimentazione dell’antica chiesa eretta 15 secoli addietro. «È solo l’inizio, la campagna vedrà poi il recupero del museo della basilica e in generale una sistemazione di tutta l’area, per accogliere al meglio i pellegrini» spiega don Gianantonio Urbani, archeologo vicentino di Fondazione Terra Santa.
Il restauro sarà affidato ai restauratori palestinesi del Mosaic Center di Gerico, città della Cisgiordania. Don Gianantonio Urbani è prete francescano, ha con seguito una licenza in Scienze Bibliche e Archeologia a Gerusalemme una decina d’anni fa, seguita da una specializzazione in Beni Archeologici all’università Cattolica di Milano e ad un dottorato di ricerca con l’ateneo di Padova. «Da circa 15 anni mi occupo del santuario di monte Tabor – spiega – il crowdfunding “Pietre Vive per i Luoghi Santi di domani” è una raccolta per riportare alla luce la bellezza originale del sito e valorizzarlo pienamente».
Il monte Tabor nei Vangeli è il luogo in cui il Cristo accompagnato da tre discepoli vive l’episodio mistico della trasfigurazione, mutando le proprie vesti e dialogando con i profeti del passato. Il luogo è quindi presente nella tradizione della cristianità sin dalle origini – anche se non mancano tracce di frequentazioni ancora più antiche – e sono normalmente meta di pellegrinaggio i due edifici religiosi cristiani sulla sommità. Una delle chiese è la Basilica della trasfigurazione, santuario francescano a tre navate ricco di mosaici realizzato negli anni ‘20 su disegno dell’architetto Antonio Barluzzi, con al suo interno una parte più antica, di epoca medievale – la cripta.
Ad essere oggetto della raccolta fondi – a cui si può partecipare tramite il sito www.ideaginger.it cercando appunto il progetto “Pietre Vive per i Luoghi Santi di domani” – è la seconda chiesa, adiacente: un edificio di epoca bizantina, risalente al quinto secolo dopo Cristo, attualmente pesantemente danneggiata e che ospita un piccolo museo. In particolare il primo “step” della raccolta fondi, con l’obiettivo di raggiungere la somma di 32.500 euro entro il 28 aprile, riguarda il mosaico che copriva il pavimento d’ingresso dell’antica chiesa di cui oggi rimangono solo alcune parti. «Su questo mosaico sono state svolte accurate indagini archeologiche. Vorremmo tornasse a splendere della luce che aveva 1500 anni fa – riprende don Gianantonio – con la ricostruzione della decorazione a fasce, fioretti e squame che ne costituivano il disegno».
In realtà il recupero del mosaico è solo l’inizio. Il secondo passo sarà il recupero del museo della basilica, poi in genera le una serie di interventi a favore dei visitatori e pellegrini che arrivano al santuario. All’intero progetto partecipano, oltre a don Urbani, altri sei professionisti e religiosi. «È solo il primo di sei “step” – conferma l’architetto Marco Brusarosco, che fa parte del team – una fase successiva riguarderà la valorizzazione dei percorsi di monte Tabor, un’altra ancora comprenderà la sistemazione dei terrazzamenti con gli ulivi all’esterno, lavoro che per eseguire al meglio faremo coinvolgendo i re sidenti del posto». Brusarosco prevede di recarsi a maggio in Israele, ad affiancare don Gianantonio nella prosecuzione dei progetti. «Mi occuperò in particolare proprio della valorizzazione dei percorsi – spiega – attualmente se un pellegrino arriva a monte Tabor rimane disorientato, perché non trova nulla per orientarsi. Quindi, prevediamo la realizzazione di un info point e di un sistema di indicazioni nei vari punti di accesso».
L’afflusso di pellegrini, storicamente sempre presenti nel sito, risulta attualmente ridotto al minimo per i timori dei viaggiatori derivanti dal riaccendersi del conflitto israelo-palestinese, oltre che dal recente intervento israeliano in Libano. «È un periodo estremamente delicato. Il santuario è a circa 50 chilometri dal confine con Libano e Siria e qui la situazione è tranquilla, certo si è in pensiero per le molte aree in cui non è così – conclude don Gianantonio – alcuni piccoli gruppi di pellegrini arrivano, i santuari sono aperti e i visita tori sono benvenuti. Noi francescani siamo in Terrasanta da 800 anni e questo progetto è in continuità con il nostro operato: quello di una presenza cristiana, che vuole trasmettere un messaggio di pace».
Andrea Alba
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