«A lungo si è parlato della necessità di creare una memoria condivisa, ma non credo che abbia senso. I famigliari degli italiani scomparsi nelle foibe hanno una loro memoria, quelli degli sloveni italianizzati e uccisi dal fascismo ne hanno un’altra. Le memorie vanno accettate, ascoltate e accolte. Quello a cui possiamo aspirare è una storia condivisa, la ricostruzione degli eventi e la loro interpretazione. E a questo ci siamo arrivati». Alessandro Cattunar, nato nel 1983, storico goriziano e presidente dell’associazione di divulgazione storica “47/04“, è uno studioso delle vicende violente che hanno attraversato il confine italo-sloveno dal 1941 al 1945 e che il 10 febbraio verranno ricordate in tutta Italia durante il Giorno del ricordo istituito nel 2004 con la legge 92 approvata dal parlamento per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Due ondate di violenze
«Quando parliamo di “foibe” intendiamo due ondate di violenza diverse. La prima avvenne all’indomani dell’8 settembre 1943 quando i partigiani jugoslavi e parte della popolazione istriana inflissero violenze contro lacomponente italiana e fascista presente nelle città dell’Istria, provocando circa seicento vittime. Si trattò di una violenza di matrice politica e una reazione all’occupazione militare». Dal 1941, infatti, la Jugoslavia era sotto l’occupazione nazi-fascista, ma già dal 1923 Mussolini aveva avviato un processo di italianizzazione forzata delle minoranze slave: «Violenze, arresti e deportazioni da parte degli italiani sono accertate e documentate», afferma Cattunar. La seconda ondata di violenza, la più grave, si consuma all’indomani della fine della guerra. «La Jugoslavia occupò e annettè al suo territorio Gorizia, Trieste e l’Istria – prosegue lo storico -. Tra maggio e giugno del 1945 l’esercito di Tito imprigionò, deportò e uccise quanti si opponevano all’annessione dei territori italiani alla Jugoslavia. Vengono arrestati e uccisi italiani, in gran maggioranza, ma anche slavi accusati di essere nemici del popolo, ex fascisti, partigiani, insegnanti, chiunque portasse una divisa o venisse identificato con il potere amministrativo italiano. Alcuni di questi vengono gettati nelle cavità carsiche, le foibe appunto, ma tanti vengono deportati in Jugoslavia, altri vengono rilasciati. È un periodo di violenza politica nella quale si mescolano sfaccettate vicende di vendette personali. Le stime delle vittime più accreditate parlano di circa seimila morti. Ma arrivare ad un numero definitivo è impossibile».
Il nuovo confine
Il 10 febbraio del 1947 (da qui la data del Giorno del ricordo) si decide il nuovo confine, che cede l’Istria alla Jugoslavia, passa sulle montagne del Carso alle spalle di Trieste senza toccare la città e divide in due Gorizia, come avvenne per Berlino. Quanto a Trieste, amministrata dagli anglo-americani, passerà definitivamente all’Italia nel 1954. Intanto, nell’arco di una decina d’anni si consuma l’esodo degli italiani dall’Istria, una tragedia nella tragedia. «La migrazione coinvolgerà circa 250mila persone, l’80% delle popolazioni italiane presente in quei territori – spiega Catturan -. I motivi delle partenze furono diverse: pressioni del governo jugoslavo, opportunità economiche nuove in Italia grazie al piano Marshall e dinamiche familiari. Alcuni di questi italiani erano giunti in Istria con il fascismo, ma la maggior parte si trovava lì da generazioni». I profughi si trovarono a ripartire da zero in un’Italia che però non si dimostrò accogliente. «In alcuni casi venivano visti come una minaccia venuta a portar via case e lavoro, in altri erano identificati come fascisti – prosegue Cattunar -. Vennero accolti in campi profughi o assegnati a quartieri di case popolare».
«Per un lungo periodo sembrava che le sofferenze degli uni escludessero quelle degli altri. Ora si riconosce che entrambi sono state in parte vittime ed in parte carnefici».
Il presente e il futuro
Il Giorno del ricordo è l’occasione per conoscere e ripercorrere questi fatti nella giusta prospettiva storica, anche perché le ferite di quel periodo si stanno rimarginando. Gorizia e Nova Gorica saranno la doppia Capitale europea della cultura nel 2025. Nell’estate del 2020 il presidente Mattarella e il presidente sloveno Borut Pahor sono stati protagonisti di un memorabile omaggio alle vititme italiane e slovene di quegli anni. «Oggi a Gorizia il confine c’è e la memoria di quei fatti è ancora viva, ma è un confine che si è aperto ed è tornato ad essere una zona di dialogo tra Italia e Slovenia conclude Cattunar -. I rancori del passato si stanno affievolendo. Fino a qualche tempo fa il dibattito aveva toni di scontro, oggi si affronta la questione più serenamente. Entrambe le comunità nazionali hanno subìto violenze. Per un lungo periodo sembrava che le sofferenze degli uni escludessero quelle degli altri. Ora si riconosce che entrambi sono state in parte vittime ed in parte carnefici. Riconoscere il trauma dell’altro è stato un processo lungo, ma per fortuna è giunto ad un punto di condivisione».