Ogni anno la terza domenica di ottobre la Chiesa Cattolica celebra la Giornata Missionaria Mondiale. Un’occasione per ricordare i missionari, il loro impegno nei posti più poveri e remoti della terra e magari raccogliere qualche offerta a sostegno delle loro opere. I missionari e le missionarie da tempo rappresentano per molti il volto più credibile e coerente della Chiesa Cattolica. Perché, a differenza di molte ONG, si occupano dei poveri stando tra i poveri, condividendo la loro esistenza e spesso rischiando la propria vita per difenderne la dignità e i diritti, tante volte dimenticati o apertamente calpestati.
La fisionomia di questi uomini e donne che si dedicano ai poveri della terra negli ultimi tempi è piuttosto cambiata. Certo, ci sono ancora, seppur in minor misura, le religiose e i religiosi appartenenti agli ordini nati appositamente con questo scopo (come i saveriani, i comboniani, il Pime, la Consolata…) e così pure i preti diocesani fidei donum, quelli che dedicano cioè qualche anno del loro ministero sacerdotale a servizio di una chiesa sorella in terre lontane. Ma, al loro fianco e spesso proprio da loro formati e accompagnati, ci sono oggi anche laiche e laici, giovani e adulti, sposati o single, che decidono di donare parte della loro vita, chi per qualche mese, chi per diversi anni, a servizio dei poveri in Africa, in America Latina o in qualche remoto paese asiatico. Scelte spesso poco comprese da parenti, amici, colleghi di lavoro…, ma che suscitano stima e ammirazione per la radicalità e la solidarietà che esprimono e per la disponibilità al sacrificio che comportano. Scelte che non possono non interrogare, perché sovvertono i criteri di benessere personale e affermazione di sé stessi che normalmente guidano le nostre decisioni e il nostro modo di vivere.
Aprire scuole, scavare pozzi per l’acqua, attrezzare ambulatori e ospedali, organizzare cooperative di lavoro… non è solo un modo per migliorare le condizioni di vita di tanta povera gente, ma è una professione di fede
Ed è proprio nella domanda “ma chi te lo fa fare?” che possiamo ritrovare il senso profondo della disponibilità alla missione di questi cristiani, pronti a partire e a donarsi per ragioni non riconducibili soltanto alla seppur nobile filantropia. Chi parte leggero, con una croce al collo e, non solo metaforicamente, con i sandali ai piedi (penso con ammirazione, ad esempio, a tanti giovani dell’Operazione Mato Grosso), è mosso appunto da un “Chi”, da quel Cristo che ha voluto identificarsi, farsi incontrare, amare e servire nei più poveri della terra. La carità che spinge alla missione supera dunque la già preziosa umana solidarietà e ha a che fare indubbiamente con la fede e forse ancor più con la speranza.
La speranza non solo di poter creare un mondo più giusto, equo e fraterno, ma quella, solidamente fondata in Cristo, di quei Cieli nuovi e Terra nuova in cui finalmente i poveri saranno sollevati dalle loro miserie e i ricchi, prepotenti e indifferenti, verranno rovesciati dai troni mondani. Ecco perché nel suo messaggio per la Giornata Missionaria di quest’anno, papa Francesco parla di una “prospettiva escatologica” della missione che motiva, giustifica e corrobora l’impegno quotidiano dei missionari e delle missionarie del Vangelo.
Aprire scuole, scavare pozzi per l’acqua, attrezzare ambulatori e ospedali, organizzare cooperative di lavoro… non è solo un modo per migliorare le condizioni di vita di tanta povera gente, ma è una professione di fede nel Dio Amore, un’iniezione di speranza che va oltre questa vita, con le sue fatiche e tribolazioni che, su questa terra, non potranno mai comunque essere del tutto e definitivamente superate. Dunque, è proprio la fede nella vita eterna che a ben guardare giustifica tanto impegno e tanto amore per la vita dei piccoli e dei poveri. Ed è questa, come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi (2007) il contenuto essenziale della speranza cristiana e dell’annuncio della Chiesa, oggi come un tempo.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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