Luca, brizzolato, sulla sessantina, macinava chilometri per comprarsi l’alcol senza farsi riconoscere. «Mi sentivo sporco, avevo una vita sporca» racconta. Alessandro, occhi azzurri e kefiah al collo, ha vissuto per 10 anni in strada: «Elegantemente dico che ho fatto il clochard, ma un tempo mi definivo ‘‘topo di fogna’. Vivevo nella sfiducia, nella tristezza, nella guerra, nell’odio. La droga mi permetteva di anestetizzarmi, di allontanarmi». «Il mio errore è stato quello di tenermi tutto dentro», confida il giovane Stefano. «Qua dentro sono rinata un’altra volta. Ho avuto un operatore che mi ha spezzata e ripiantata», confida Silvia, madre di tre figli.
Sono alcune delle testimonianze di chi ce l’ha fatta. Anche se ‘il gusto della droga non si scorda mai’ qualcuno ne esce: pochi, pochissimi e per questo importanti. Uomini e donne curati e aiutati dalla Fondazione San Gaetano con sede in via Btg. Monte Berico, 18 a Vicenza. Quattro comunità: ‘La soglia’ a Schio, ‘Identi Key’ a Vicenza, ‘No Potus’ a Torrebelvicino per le dipendenze da alcol e gioco d’azzardo e, l’ultima nata, attiva dal 26 agosto, ‘Il nodo’ a Monselice. Pronta accoglienza, fase terapeutica e sgancio. Nodi da sciogliere, ma anche da creare perché più fitta è la rete sociale, meno ci si fa male quando si cade o si ricade.
«Siamo un’opera sociale. Sono passati tanti anni ma l’imprinting del nostro fondatore don Luigi Magnabosco (intervista sotto, ndr) che a Recoaro accoglieva i ragazzi tossicodipendenti in canonica è rimasto – racconta il direttore della Fondazione Matteo Ferracin -. Il nostro sguardo cade sulla persona a 360 gradi a prescindere dalla dipendenza: valutiamo la situazione fisica, psicologica, familiare, lavorativa, relazionale e ci inseriamo all’interno della sua esperienza di vita per aiutarla e accompagnarla per un breve periodo – immaginando l’intera vita – dentro alle nostre stutture per poi restituirla al suo territorio e alla società».
La particolarità della Fondazione San Gaetano è proprio l’intenso lavoro con la società per il reinserimento. «Ci impegniamo per lavare via lo stigma – spiega il direttore terapeutico Eva Pagano -. La droga è estremante democratica, è un fenomeno al di là della classe sociale e dei contesti lavorativi. L’obie ttivo è creare sensibilità sociale ».
La Fondazione accoglie attualmente 240 persone tra giovani, uomini e donne: 170 nelle sedi residenziali, gli altri negli appartementi di reinserimento in società. Troppo pochi rispetto alle richieste: «Le liste d’attesa sono lunghissime – continua Pagano -. Da quando bussano alla nostra porta possono passare da uno a tre mesi. Ma lala voriamo anche con chi non riusciamo ad inserire subito: i colleghi tengono la persona agganciata, diventando, se serve, degli stolker». Le segnalazioni arrivano dal Serd, dal Servizio di psichiatria, dalle famiglia o direttamente da chi fa uso di sostanze. «Dopo una serie di colloqui si valuta il percorso più idoneo, abbiamo staff e tipologie di cura diversi» racconta il direttore. «Chi arriva da noi è la punta dell’iceberg di un sottobosco infinito», aggiunge Pagano.
L’ultima Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia riporta numeri drammatici: il 23% dei minorenni scolarizzati nel corso dell’ultimo anno ha consumato almeno una sostanza illegale. Aumenta il consumo di cocaina e di crack tra i giovani. Scende a 12-13 anni il primo approccio alle sostanze. «Rispetto a 5 anni fa l’età di chi si rivolge a noi si è abbassata – conferma il dire ttore Ferracin -. Dai 35 anni, siamo passati ai 20».
«La fase di accoglienza (disintossicazione, ambientamento e valutazione dignostica e del percorso più adeguato) dura al massimo 3 mesi – spiega la responsabile -, la fase intensiva da 6 mesi a 1 anno. Nelle doppie diagnosi può durare un po’ di più. Sei mesi, un anno anche per la fase di reinserimento in società supportati dai club territoriali (alcolisti anonimi, Acat, associazioni varie). In comunità il tempo libero è il più difficile da gestire: dal “mi faccio” i ragazzi devono passare al “cosa faccio”», sottolinea Pagano.
La Fondazione San Gaetano si prende cura anche di mamme con figli piccoli e ha due comunità specifiche per le doppie diagnosi di cui abbiamo accennato sopra. «Le sostanze sintetiche cambiano in tempi rapidissimi. Bruciano il cervello e aumentano i disturbi psichiatrici».
La percentuale di riuscita è bassa. «Nei primi 6 mesi/un anno c’è una buona tenuta, il 9-10% del totale, che però dopo un anno si riduce – spiega Pagano -. Chi non fa uso di sostanze per 5-10 anni è il 2-3% e per noi è un ottimo risultato. Non dimentichiamo che la dipendenza è definita malattia cronico recidivante». «Non importa il risultato, ma il percorso che si fa, con noi stanno meglio e offriamo strumenti utili per chiedere aiuto, nel caso di ricadute», conclude il direttore.
Marta Randon
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