È stato liberato il 7 novembre dopo undici giorni di prigionia padre Thomas Oyode, il rettore del Seminario di Agenegabode rapito da una banda riconducibile all’organizzazione jihadista Boko Haram che da anni semina terrore in Nigeria e in Camerun.
Qui negli ultimi tempi i rapimenti di preti e religiose a fine estorsivo si sono moltiplicati, coinvolgendo non più solo i missionari europei o statunitensi (nelle loro mani nel 2014 erano finiti anche i nostri fidei donum don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta), ma anche il clero locale.
Tali notizie giungono difficilmente fino in Europa, ma il caso di padre Thomas ha suscitato una particolare attenzione mediatica perché il giovane prete, rientrato di recente in Nigeria dopo gli studi a Roma, accortosi dell’irruzione dei terroristi nell’istituto da lui diretto, aveva offerto sé stesso al posto di due ragazzi che già stavano per essere portati via. “Prendete me”, aveva detto senza esitazione, come hanno poi testimoniato i due studenti subito rilasciati dai banditi, pronti ad accettare lo scambio.
Quelli successivi sono stati giorni di grande apprensione, ma anche di preghiera intensa e di una commozione tutta particolare per la locale comunità cattolica, colpita da un così grande gesto di altruismo e coraggio. Nelle stesse ore in cui padre Thomas veniva finalmente liberato, il Dicastero delle Cause dei Santi annunciava la validità del processo diocesano per la canonizzazione del giovane Akash Bashir. Se tutto andrà come si spera, sarà il primo santo del Pakistan. Akash era nato a Risalpur nel 1994 e aveva studiato al Don Bosco Technical Institute di Lahore. Conduceva la vita normale di un giovane della sua età, tra famiglia, amici, scuola, sport. Era battezzato, aveva fede e la preghiera era parte della sua vita. Ogni domenica prestava servizio come volontario per l’accoglienza e la sicurezza nella parrocchia di San Giovanni a Lahore. La mattina del 15 marzo 2015 si accorse che un uomo che stava per entrare nella chiesa, dove già erano radunate oltre 800 persone per la Messa, era un kamikaze imbottito di esplosivo.
“Morirò, ma non ti lascerò entrare in chiesa”: furono queste le sue ultime parole, udite distintamente da chi era vicino, mentre abbracciava l’uomo e lo spingeva con tutte le sue forze lontano dalla chiesa, esplodendo poco dopo insieme con lui. “Prendete me!”, “Morirò, ma non ti lascerò entrare”: parole che fanno venire la pelle d’oca.
Mi sono chiesto spesso in questi giorni se sarei in grado di pronunciarne di simili e come mi sarei comportato se mi fossi trovato al posto di padre Thomas o del giovane Akash. La risposta penso che sinceramente sia “non lo so”. Nessuno di noi può preventivare certe scelte. Ma quello che è certo è che una tale eroica generosità non si improvvisa. La forza e il coraggio di donare la propria vita per salvare qualcun altro vengono certamente dallo Spirito Santo e sono conseguenza di quella che potremmo definire una palestra quotidiana di preghiera e di carità. Solo chi si allena alla generosità e alla bontà nella vita di tutti i giorni, può giungere al dono della propria vita fisica qualora circostanze estreme lo richiedessero.
“Chi è fedele nel poco sarà fedele anche nel molto”, suggerisce Gesù (Luca 16, 10). Queste due storie provocano in noi commozione e speranza. Finché c’è chi è disposto a sacrificare la propria vita per amore dei fratelli, possiamo ancora credere in Dio, nella vita, nel futuro. E allora comprendiamo la scelta di papa Francesco di costituire, in vista dell’Anno Santo oramai imminente, una commissione vaticana che individui, anche nell’ambito di altre confessioni cristiane, i testimoni della fede che in questo primo quarto di secolo hanno offerto la vita per amore del Vangelo e dei fratelli. Un “catalogo” speciale, che certo sfoglieremo con grande attenzione e gratitudine.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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