Se di notte ti svegli e inizi a pensare, è finita. Il male che accade nel mondo, le malattie e le sofferenze di tante persone, le discordie e le inimicizie che avvelenano molte famiglie… e poi, più meschinamente, i torti del passato, le preoccupazioni per il futuro, il peso delle responsabilità, una vita che pare inesorabilmente sfuggirti di mano… il buio della tua stanza si fa d’un tratto opprimente e angoscioso. Trovi allora conforto nella preghiera o magari nell’aprire anzitempo gli scuri e assaporare l’aria della notte che si fa fredda anelando al mattino. Oltre ai pensieri, la notte amplifica i pochi rumori: il battito delle ore del campanile, il lontano sferragliare di un treno merci, il verso di uno sconosciuto uccello notturno. Come avesse sentito un antico richiamo, il cane smanioso mi invita ad uscire. E così ci incamminiamo per quella strada percorsa mille volte, eppure sconosciuta in quest’ora inconsueta e come sospesa. Poi, dietro ad una curva, mi sorprende il miracolo, noto eppure quasi sempre ignorato, dell’alba di un nuovo giorno. Il cielo si tinge prepotentemente di rosso, appaiono i contorni delle colline e, dietro, quelli delle montagne. Sorge il disco del sole: dicono sia questo il momento più freddo del giorno. L’aria fresca punge il volto, foriera di novità. Si dissipano le brume della notte e con esse i pensieri che avevano tolto il sonno e la quiete interiore. Il cane inizia a correre all’impazzata, tracciando ampi percorsi circolari nei prati madidi di rugiada e già raggiunti dal tepore del sole nuovo. Siamo vivi. E ritorna la speranza. Che la notte delle guerre, delle devastazioni naturali, di ogni incomprensione, sofferenza, povertà… non potrà durare per sempre. Che su tutti e su ciascuno sorgerà la luce di Cristo, salvatore glorioso della mia, della tua, della nostra povera comune umanità, ma anche di tutto ciò che, misteriosamente connesso e solidale, esiste e resiste, nonostante tutto.
Ho sempre pensato che molti dei mali del mondo dipendessero dall’insonnia. Di certo la maggior parte dei dittatori ne erano e ne sono cronicamente affetti (se causa o conseguenza dei loro crimini, difficile dirlo). Ma ora penso anche che se qualche volta di più assistessimo allo spettacolo del sorgere del sole con animo contemplativo, con lo stupore del fanciullo, con il senso del sacro e della natura dell’uomo antico (pre-industriale, pre-tecnologico, pre-digitale…) forse il mondo sarebbe un posto migliore.
Chi siamo noi davanti al miracolo del sole che sempre nuovamente sorge a ridonarci luce, calore, possibilità di vita? E quale diritto abbiamo noi di togliere questa luce, questo calore, questa possibilità di vita ad altre creature? L’alba è, per così dire, il momento dell’umiltà, del riconoscimento della nostra piccolezza, del mistero e della gratuità della vita. Ma proprio l’umiltà è la chiave per comprendere i misteri del Regno dei Cieli e aprirsi così alla salvezza e alla gioia vera.
Tornando a casa ripenso alle parole del giovane curato di Bernanos: “La grazia consiste nel dimenticarsi di sé stessi. Ma se in noi fosse morta ogni traccia di orgoglio, la grazia delle grazie sarebbe allora quella di amare umilmente sé stessi, allo stesso modo di qualunque altro membro sofferente del corpo di Gesù Cristo”. Quando una buona volta l’avremo smessa di preoccuparci di difendere i nostri diritti, di affermare noi stessi, di allargare i nostri perimetri, di piantonare i nostri confini… allora finalmente vivremo in pace perché nel nostro cuore regneranno la pace e la luce di Cristo. E non c’è momento migliore per decidere di far morire il nostro orgoglio, assieme a tutti i fantasmi della notte, che l’alba di un giorno nuovo.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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