Il 7 settembre 1991 lo stadio “menti ” di Vicenza ospitò l’incontro tra San Giovanni Paolo II e i giovani della Diocesi di Vicenza. Fu un momento indimenticabile che segnò per molti anni il cammino della Pastorale giovanile e vocazionale come ricordano don Nico Dal Molin e don Raimondo Sinibaldi in questa intervista di Marta Randon pubblicata sul numero di domenica 5 settembre.
“La nostra prima Gmg!”
«Fu la nostra prima Giornata mondiale della Gioventù» concordano don Nico Dal Molin, allora collaboratore della pastorale vocazionale guidata da don Mariano Lovato e don Raimondo Sinibaldi,direttore dell’Ufficio di pastorale giovanile che nel 1991 stava prendendo forma e si chiamava ‘Ufficio diocesano per i giovani’. Le due sezioni, vocazionale e giovanile, unirono le forze per organizzare l’evento degli eventi: Papa Giovanni Paolo II incontra 20mila giovani allo stadio Menti. In particolare don Nico trent’anni fa ebbe un duplice ruolo: pensare e organizzare l’evento e, microfono alla mano, condurre la serata. «Cominciammo a lavorare un anno e mezzo prima e spinsi per fare squadra racconta -. Da soli non si va da nessuna parte. Si è trattato di un evento che poi ha aperto la strada a quello che per gli uffici della Diocesi di Vicenza è diventata una modalità: collaborare».
«Tre decenni fa vedere e incontrare il Papa era qualcosa di stratosferico – prosegue don Dal Molin -. Oltre all’emozione di incontrarlo ho impressa nella mente la fotografia di uno stadio stracolmo all’inverosimile con 20-25mila giovani della Diocesi di Vicenza e non solo. Papa Wojtyla era un trascinatore. Un colpo d’occhio di colore, di festa. Si vive qualcosa di analogo solo nelle Gmg (nel 1993 la nostra diocesi partecipò a quella di Denver ndr)».
«Inviammo alle scuole un depliant con una cartolina per raccogliere le domande da fare al Papa – racconta don Sinibaldi -. Ne arrivarono migliaia. Fu la prima volta nella storia, come per la prima volta fu scelta una donna (Nicoletta Fusaro ndr) per porre i quesiti a Wojtyla». Dal materiale raccolto nacque un’indagine sociologica, «per ricostruire ed evidenziare il mondo giovanile che avevamo davanti. Un grande lavoro, anni molto belli» prosegue don Raimondo.
Un altro passaggio emozionante nei ricordi di don Nico è l’arrivo allo stadio del Pontefice: «Eravamo d’accordo con l’animatore della serata (Marco Balestri di Cesenatico ndr) che all’entrata della Jeep ci fosse un silenzio assoluto per i primi 50 metri. Così fu. Il vescovo Nonis sbiancò, non capendo quello che stava succedendo. Il tempo di qualche secondo e partì un boato, un’ola grandiosa. Applausi, urla. Lo stadio esplose in una gioia incontrollabile, ho ancora la pelle d’oca» ricorda don Nico.
Il tema della serata era ‘Per accendere in cuore la speranza” titolo dell’inno musicato da don Pierangelo Ruaro, oggi direttore dell’Ufficio liturgico della Diocesi, che lavorò con tantissimi giovani e il coro ‘Esodo 15’. «Fu un momento molto forte – racconta don Ruaro -. Mentre stavo intonando la strofa, con la chitarra in mano, un colpo di vento rovesciò i fogli. Fui costretto a tenerli fermi con la mano e quindi smisi di suonare. Il giorno dopo sui giornali ero ‘il bassista cieco’ » ride.
Un altro momento di forte empatia fu la coreografia del cuore fiorito, composto da un’ottantina di ragazze che con passi di danza e movimenti ritmici deposero sul campo del Menti tantissime margherite formando un cuore.
«Non può essere tralasciato, poi, quello che il Papa ci disse, l’espressione che diventò lo slogan della pastorale giovanile: “Ci vuole più vivere dentro”» afferma Dal Molin. «Grammaticalmente imperfetta, ma densissima di significato – continua don Sinibaldi -. Il Papa aveva un discorso preparato ma, per nostra fortuna, quel pomeriggio improvvisò».
« Wojtyla ci ha lasciato uno straordinario entusiasmo; ha lasciato alla nostra Chiesa la consapevolezza di avere grandi risorse. Ci ha fatto capire che siamo capaci di fare le cose fatte bene. Fu una grande iniezione di fiducia ».
«Da lì cominciò tuttoconclude il sacerdote -. Nacque il gruppo Sichem, in seguito il Mandorlo. Ac e Agesci in quegli anni espressero il meglio. Sono sicuro che Giovanni Paolo II tornò a Roma felice, l’ho visto nei suoi occhi».