Ammetto che quando pochi mesi fa i giornali locali riportarono la notizia di alcuni furti nelle ville intorno a Vicenza non riuscii a provare grande empatia verso i proprietari derubati. Avere decine di migliaia di euro di gioielli in cassaforte o portarli al polso in un orologio che una persona comune non potrebbe comperarsi neppure lavorando una vita intera non corrisponde esattamente a ciò che possiamo definire un’etica che profuma di Vangelo. E sì, lo so bene, la Chiesa stessa non sempre brilla, nel suo rapporto con denaro e ricchezze, per trasparenza e coerenza, ma il fatto di avere le nostre colpe da emendare e le nostre belle conversioni da attuare non può esimerci dal chiamare le cose per nome.
Che i ricchi possano essere visitati dai ladri, anche a leggere il Vangelo, è, del resto cosa che non stupisce, segno addirittura di una sorta di giustizia immanente che, per vie forse non del tutto ortodosse, ripristina un ordine naturale “iniquamente” violato: “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove i ladri non scassinano e non rubano” (Matteo 6, 19). Considerando poi che, sempre a detta di Gesù, “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli” (Matteo 19, 24), i ladri, quando agiscono con scaltrezza, potrebbero essere addirittura considerati inconsapevoli collaboratori della grazia di Dio che vuole la salvezza di tutti i suoi figli. Del resto giova ricordare come per la dottrina sociale della Chiesa, fin dai tempi di Leone XIII, la proprietà privata, a differenza di quanto pensa la società capitalista e liberale (che ne ha fatto un totem) o quella marxista (che l’ha al contrario demonizzata), sia sì un diritto da difendere, ma non in senso assoluto, in quanto deve sempre trovare il suo naturale bilanciamento nel bene e nell’utilità comune.
Alzino poi la mano quanti, nel loro intimo, non hanno almeno una volta provato un senso di sottile ammirazione davanti a certi furti compiuti in perfetto stile Arsenio Lupin. Il problema adesso, però, è che nel nostro territorio furti e rapine, spesso aggravati da violenza e vandalismi, si vanno moltiplicando ai danni della gente comune, nelle loro case e nei loro luoghi di lavoro. Accade sempre più frequentemente a Vicenza, ma anche nei piccoli comuni della provincia, in alcuni casi davvero battuti a tappeto da bande di ladri ben organizzate e prive di ogni scrupolo. E quando ricevi la visita dei ladri, oltre e forse ben più grave del danno materiale, c’è la ferita provocata dal senso di insicurezza, dal sentirsi violati nella propria intimità e, molte volte, dal perdere oggetti dal valore affettivo più che economico. Un giovane che conosco si è trovato l’appartamento svaligiato tornando dal funerale di sua madre. Una donna, rientrando da un servizio di volontariato, ha scoperto la sua casa violata e il cagnolino sanguinante chiuso in un armadio. Gli esempi si potrebbero tristemente moltiplicare.
Davanti a tutto questo non possiamo che provare rabbia, tristezza, delusione. Sistemi di allarme e porte blindate possono servire certo da deterrente. Ma la soluzione, pensando ai nostri centri storici pressoché disabitati e a tante aree residenziali dei nostri comuni ridotte a “dormitorio”, non può che passare dalla costruzione di un tessuto sociale e comunitario diverso. Magari con quella stessa delicatezza e umanità con cui il parroco dei Ferrovieri a Vicenza si è rivolto, in una lettera aperta, al “caro fratello ladro” che si è portato via persino la cassettina della “buona usanza” durante un funerale.
Alessio Graziani