Corpi sovraesposti nel mondo digitale e corpi in difficoltà ad aprirsi alle relazioni nelle mondo “reale”. È una dicotomia che lascia il tempo che trova, come vedremo a breve, ma che aiuta ad inquadrare il mondo dei giovani e dei giovanissimi con i quali ha settimanalmente a che fare Carlo Presotto, autore e produttore teatrale che segue anche percorsi di educazione e formazione attraverso il teatro.
«Il corpo è il palcoscenico della nostra rappresentazione, di chi siamo in un preciso momento – racconta Presotto -. Per citare il filosofo Gabriel Marcel, noi non abbiamo un corpo ma “siamo un corpo”». Corpi che sono il principale strumento nelle mani di un attore ed è per questo che il teatro è uno strumento efficace in ambito educativo. «Uno dei laboratori che proponiamo invita a replicare saluti di culture differenti – prosegue il regista -. Fino alla stretta di mano, tutto bene, ma quando si passa all’abbraccio cominciano a vedersi difficoltà nel contatto. Il saluto inuit che consiste nello strofinare i nasi, pochi lo fanno. È il segnale di una scarsa alfabetizzazione del corpo e non può essere altrimenti visto che sono diminuiti gli spazi in cui uno sperimenta la propria corporeità come strumento di relazione con l’altro. Gli adolescenti di oggi, la “generazione alfa” sono molto competenti, posseggono molte conoscenze ma hanno scarso allenamento ad incorporarle. Oggi la sfida è questa: lavorare sulla trasmissione della conoscenza corporea in presenza».
Attenzione però: contrapporre reale (buono) e virtuale (cattivo) è un errore grossolano. «La generazione alfa – spiega Presotto – non percepisce il mondo digitale separato da quello reale. Si percepisce ibrida. Possiamo capirlo pensando a come utilizziamo il gps. Per darmi appuntamento con qualcuno condivido la posizione dallo smartphone. Allo stesso tempo sono nel digitale e nella realtà un anfibio. Se teniamo separato reale e virtuale rischiamo di non riuscire a leggere la rappresentazione del mondo che hanno i ragazzi più giovani. Noi adulti dobbiamo capire che siamo “immigrati” nel loro mondo».
Presotto concorda tuttavia sul fatto che il web ha messo a disposizione dei ragazzi una quantità praticamente infinita di modelli a cui ispirarsi. «Da bambino non hai il problema di rappresentarti, sei dentro una unità originaria di ambiente, corpo, emozioni. Quando il corpo comincia a subire mutamenti, la rappresentazione che offro di me va più avanti o più indietro rispetto ai mutamenti del corpo. Per questo i ragazzi cercano dei modelli: sono come delle “case in affitto” in cui alloggiare finché non si costruisce la propria identità». Anche qui, rispetto al passato il mondo digitale e della rete ha introdotto cambiamenti notevoli. «Nelle generazioni precedenti c’era una dinamica ricorrente: i figli si identificano in modelli di discontinuità rispetto ai propri genitori. Ed erano tutte figure “reali”. Oggi il “virtuale” ha un peso maggiore: cosa può accadere? Spostando un po’ il discorso, vale quello che accade con immagine e testi prodotti dall’intelligenza artificiale. Che differenza c’è tra un testo generato dal computer e uno scritto da una persona? La differenza sta nel perché si scrive. Nell’intenzione. Nella direzione che si vuole dare al proprio lavoro.
Ecco, anche nella costruzione del proprio corpo, ciò che i ragazzi chiedono agli adulti è avere risposte di senso. Un “perché”. Perché dover essere in presenza e perché far fatica a mettermi in relazione con gli altri. Sono alla ricerca di adulti testimoni. Non da imitare, ma da avere come “indicatori di senso”».
<i>Andrea Frison</i>