È stato come un lampo, improvviso, inatteso, a squarciare il velo che perlopiù avvolge la memoria e a liberare il ricordo. Pochi giorni fa ero fermo in auto ad un semaforo rosso. Circa le due del pomeriggio. Sul marciapiede alla mia destra, in quell’attimo in cui tutto è come sospeso perché nessuno ha ancora il verde per passare, un ragazzino con un giubbotto troppo grande per lui e uno zaino più grande di lui attendeva assorto di poter attraversare. Quel ragazzino ero io. Più di trent’anni fa. A quello stesso semaforo. In quella stessa posizione. Tornando da scuola. Mi è sembrato di sentire di nuovo il peso dei libri e della mattinata sulle spalle. Quella sensazione di sfinimento per lo stomaco vuoto di un pranzo che tarda a venire, accentuato dal caldo del primo pomeriggio, ben diverso dal gelo affrontato al mattino, uscendo di casa mentre ancora era buio. Ma anche quel vago malessere tipico dell’adolescenza che ti fa sentire sempre solo, inadeguato, insoddisfatto e incapace. È perfino apparso nitido agli occhi della mia mente il contorno di quella pietra di porfido grigio che, oggi come allora, delimita l’angolo di quel marciapiede di periferia, rimasta immutata a svolgere ancora, silenziosa, il suo umile compito. Piccoli tragitti fatti tutti i giorni a testa bassa, spesso di malavoglia, in cui riconosci ad un certo punto una ad una, quasi amiche fedeli, perfino le buche e le piccole asperità del terreno… È davvero strano ciò che si imprime nella nostra memoria ed è ancor più sorprendente come a volte vi siano chiavi capaci di aprire improvvisamente cassetti dimenticati. Attimi di trasfigurazione.
Avrei voluto scendere dall’auto e dire a quel ragazzino “io ero come te, coraggio, passerà”, ma alla fine è proprio questo il problema. Che noi purtroppo tante volte viviamo aspettando che passi, che venga un tempo migliore. Da adolescente sogni la giovinezza e la libertà. Da studente sogni il lavoro e l’autonomia. Da lavoratore sogni la pensione e il tempo libero. Da pensionato forse inizi a rimpiangere quando dovevi andare al lavoro, a scuola, perfino quando eri adolescente… e allora un poco ti rammarichi di aver avuto tanta fretta di crescere o di aver passato molte, troppe settimane aspettando e sperando che arrivasse sabato, o quel futuro radioso che certo sarebbe stato finalmente migliore. In una delle sue battute fulminanti, in cui risuonano tutta l’arguzia e la sapienza delle sue origini ebraiche, Woody Allen afferma: “La vita è piena di solitudine, di miseria e di sofferenza. E oltre tutto passa anche troppo alla svelta”. Forse è per questo che Gesù nel vangelo invita a non preoccuparsi per il domani, perché ogni giorno – dice- ha già la sua pena, ma anche – ci insegna – le sue possibilità di gioia, di amore, di significato. In questo ci sono di esempio i bambini, proprio quei bambini che sempre il vangelo indica come discepoli perfetti del Regno dei Cieli.
I bambini vivono il presente e lo fanno con intensità. Troppo piccoli sia per cullarsi nei ricordi che per coltivare preoccupazioni. E allora, imparando da loro, dovremmo vivere l’oggi con un di più di gioia, di amore, di benevolenza, perché il tempo è troppo prezioso per vivere tristi, arrabbiati o preoccupati; per coltivare risentimenti o perdersi dietro a passioni tristi, affamati di potere, di denaro, di piaceri sfuggenti. Saint-Exupéry dedicò il suo celebre Piccolo Principe all’amico “Leone Werth quando era un bambino”. Come ci farebbe bene poterci ogni tanto rivedere bambini, magari all’angolo della strada con la cartella sulle spalle. Saremmo tutti migliori, se solo avessimo questa grazia. Forse Putin, Netanyahu, Kim Jong-un e persino i terroristi islamici la smetterebbero una buona volta… . Un’automobile dietro a me suona il clacson, il semaforo è diventato verde. È tempo di andare.
Alessio Graziani