La sala ristorante è stracolma di gente. Molti sono operai e impiegati in pausa pranzo. Ma ci sono anche lunghe tavolate di anziani, compagnie di amici e qualche famiglia. Sorprende, nel pranzo di un giorno feriale. Menù fisso generoso: antipasto, due primi e secondi a scelta. Guardo tutte queste persone che mangiano come se non ci fosse un domani. Arrivati al secondo, declino la carne. Già, è venerdì di Quaresima e mi sento comunque in difetto per questo pranzo tutt’altro che sobrio anche senza aggiungerci una tagliata di manzo, degli involtini ricoperti di pancetta o un cosciotto di maiale. Il sorrisetto sul volto del cameriere mi ferisce. Ci vedo dentro tutte le solite obiezioni: che sono cose sorpassate, che i peccati sono altri, che ben altri sono gli impegni richiesti da Dio e riguardano più la giustizia sociale, la solidarietà, mettiamoci pure anche la preghiera… ma digiuno e astinenza chi se li fila più? Roba da asceti fuori dal mondo, adatta per le ultime beghine della parrocchia, mercanzia di tempi passati, in odore di pericoloso tradizionalismo… . Una ragazza che gioca a pallavolo mi confidava come quest’anno, grazie alla presenza nella sua squadra di alcune giocatrici musulmane che in questo stesso periodo osservano il Ramadan, riesca finalmente durate le trasferte a rispettare anche lei i venerdì di Quaresima. Santa alleanza in un mondo sempre più tiepido e indifferente ai valori religiosi. Eppure quante volte anche papa Francesco, all’inizio dei tempi penitenziali o in momenti gravi della storia, soprattutto davanti allo spettro e alle devastazioni della guerra, ci ha invitati a riscoprire e praticare il digiuno e l’astinenza? Povero Papa, citato a intermittenza (e a convenienza), come un certo tipo di dieta che oggi va tanto di moda… Digiuno e astinenza, peraltro, fanno ancora parte dei cinque precetti della Chiesa, quelli che, valevoli per ogni fedele battezzato, ci ricordano il minimo per non lasciar morire la nostra vita spirituale. E no, non stiamo parlando del catechismo di San Pio X, ma dell’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica che i precetti li ha mantenuti, riformulati, opportunamente aggiornati (n° 2041-2043). Del resto, già trent’anni fa, nel 1994, l’Episcopato italiano sentì il bisogno di intervenire con un’apposita Nota pastorale per ricordare “Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza”. Il documento, riassumeva e presentava i tre significati essenziali di queste pratiche penitenziali: partecipare alle sofferenze provate da Cristo durante la sua dolorosa passione (ragione spirituale); rinvigorire lo spirito nella lotta contro il male e nell’affrontare la vita, sviluppando il dominio di sé (ragione pedagogica); esprimere vicinanza e solidarietà alle privazioni che ogni giorno i poveri del mondo devono patire (ragione solidale). Il digiuno e l’astinenza non nascono dunque dal ritenere negativi alcuni cibi e tantomeno da un disprezzo per le cose del corpo, ma solo dall’amore per il Signore e per il prossimo. Per questo il digiuno, nella pratica penitenziale della Chiesa, è sempre legato alla preghiera e all’esercizio concreto della carità fraterna. Digiuno e astinenza- giova ricordare – ci sono richiesti come esperienza di popolo il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo; l’astinenza dalle carni e “da tutti i cibi particolarmente raffinati e costosi” (quindi, per favore, non sostituite la bistecca con il branzino, non avrebbe alcun senso) tutti i venerdì di Quaresima e possibilmente anche negli altri venerdì dell’anno. Ogni fedele può far ricorso a queste pratiche penitenziali di propria iniziativa, ogni volta che le circostanze lo suggeriscano. Riscopriamo il digiuno e l’astinenza, anche per non essere sempre più cristiani addormentati e insignificanti in una società pingue e indifferente.
Alessio Graziani