Compagni nella vita, nel lavoro e ora anche nella direzione dell’Ufficio di pastorale familiare. Stefano Fabris, 58 anni, e Stefania Refosco, 56, sono la coppia di sposi che il vescovo Giuliano ha scelto per “coordinare l’attenzione alla famiglia nella pastorale diocesana, nelle realtà associative e nelle parrocchie”, come si legge nella Nota che ha accompagnato il decreto di nomina.
Vicentino lui, di Chiampo lei, Stefano e Stefania si sono formati rispettivamente negli scout e nell’Azione cattolica. Si sono sposati nel 1989 e vivono a Caldogno dal 1994, dove hanno seguito varie iniziative parrocchiali tra cui i percorsi per fidanzati. Dal 2011 fanno parte della Commissione diocesana per il matrimonio e la famiglia. Hanno due figlie, una nipotina di un anno e otto mesi, un’altra in arrivo e lavorano entrambi nell’azienda fondata nel 1995 da Stefano. «All’inizio realizzavamo impianti elettrici, oggi ci occupiamo di impianti fotovoltaici – raccontano -. Lavoriamo entrambi e vogliamo continuare a stare vicini ai nostri genitori e alle nostre figlie, per questo faremo quello che ci viene chiesto e quello che abbiamo in mente per l’Ufficio secondo le nostre possibilità».
Come immaginate il vostro servizio in Diocesi, anche alla luce dei vostri impegni lavorativi e famigliari?
«Veniamo da una esperienza di corresponsabilità, da diversi anni ormai, all’interno della Commissione matrimonio e famiglia della Diocesi. È un gruppo di coppie, circa venti, che insieme si dedicano ad accompagnare le famiglie e le parrocchie. Rappresenta una risorsa importante per la Diocesi, perché le permette di essere “in uscita”, di avvicinare le realtà parrocchiali e di mettersi in ascolto. Quello che faremo sarà in continuità con questo percorso, ovvero accompagnare i percorsi dei “nubendi” che si preparano al matrimonio (che in non pochi casi sono coppie già mature con figli), stare vicini alle famiglie, nella realtà che vivono tutti i giorni, con le gioie e con le fatiche, e accompagnare chi vive ferite come separazioni e divorzi».
E per quanto riguarda il lavoro dell’ufficio in quanto tale?
«L’idea è quella di implementare i rapporti con gli altri uffici e far sì che i movimenti e le associazioni che ruotano attorno alla famiglia possano diventare una risorsa per la comunità. La famiglia è un valore trasversale: ci stanno dentro i migranti, i giovani, i bambini, chi soffre di una malattia, i singles per scelta e non. Tutte realtà che fanno capo a diversi uffici di pastorale. Per questo ci impegneremo ad essere in comunione con il vescovo e i vicari».
Che ruolo immaginate per l’Ufficio famiglia in una società dove sempre più spesso si parla di “famiglie” al plurale e dove chiedono di essere riconosciute come tali, per fare un esempio, anche le coppie di persone omosessuali o di divorziati e risposati?
«Immaginiamo un ruolo improntato allo stile di Papa Francesco. Ci si mette in ascolto e si cerca di fare strada insieme. Può essere una frase che vuol dire tutto e nulla, ma quando guardi alla persona, cammini con lei e ti metti in ascolto, le cose assumono una connotazione differente, più umana e comprensibile. Da parte nostra non vuole esserci nessuna preclusione, ma un ascolto attivo, per mettersi in cammino insieme. D’altronde questo è in continuità con quello che sta facendo la Commissione. Quando abbiamo organizzato la prima Festa delle famiglie, nel 2015, abbiamo scelto di utilizzare la parola “famiglie” al plurale. Voleva essere un “aprire le braccia”. Nella vita di tutti i giorni i figli entrano a contatto con tantissime realtà. È lì che si impara ad essere accoglienti. Le famiglie sono più attrezzate per esserlo di quanto crediamo».
Viviamo in un periodo in cui alle coppie con bambini o a chi ha genitori anziani è chiesto tanto, sia in termini sociali che economici. Il dibattito sulla denatalità ha tra i suoi argomenti anche la carenza di politiche famigliari. Tutto questo come riverbera nell’attività della Commissione e dell’Ufficio?
«Il fatto di essere a contatto con le nostre figlie, soprattutto quando è arrivata la nostra prima nipotina, ci ha portati a chiederci: ma quando siamo diventati genitori noi, abbiamo vissuto quello che stanno vivendo loro? La risposta è no. Oggi le mamme sono più sole. E per chi proviene da fuori e ha i genitori lontani, è ancora più difficile. Anche in situazioni “normali”, come un bambino che si ammala e va tenuto a casa da scuola. Queste esperienze e l’essere all’interno dei cammini per i nubendi, ci fanno rimanere a contatto con la realtà. Fortunatamente la Commissione è formata da coppie con bambini piccoli. Per noi sono una risorsa. E questo deve tradursi in un compito per l’Ufficio, come ha voluto descriverlo il Vescovo Giuliano: tenere presente la realtà delle famiglie nelle varie situazioni».
All’inizio di questa avventura, che augurio vi sentite di fare alle famiglie vicentine?
«Non abbiate paura di uscire di casa. Abbiate il coraggio di buttarvi e di mettervi a servizio».
Andrea Frison
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