Nonostante lui si metta a correre, l’autobus gli passa a fianco senza fermarsi. Vedo la scena, accosto e offro un passaggio a quel ragazzo con lo zaine o sulle spalle. Per rassicuralo (spero) gli dico che sono un prete. Sorrido tra me pensando alla “macchina del Vaticano” di don Camillo.
Salendo in auto il giovane studente universitario nota la stazione radio e mi dice che sua nonna ascolta sempre Radio Oreb (benedette nonne!). Nel breve tragitto fino a Vicenza iniziamo a parlare: di religione, ma anche di politica e fermenti culturali. La conversazione inizia dall’argomento del giorno, l’insediamento di Trump alla Casa Bianca.
Il giovane, che studia temi di sostenibilità ambientale è preoccupato, ma pare invece stupito delle mie perplessità: “Trump – mi dice – nomina spesso Dio, è a favore della religione!”. Interessante, penso: se questa è la percezione dei giovani sul rapporto tra Chiesa e politica abbiamo un bel divario da colmare. Gli racconto dell’impegno di papa Francesco per l’ambiente, di come il rapporto tra il Vaticano e il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America già per il passato, anche sul tema dei migranti, non sia stato propriamente cordiale. E di come il Papa proprio in questi giorni abbia nomina to arcivescovo di Washington il cardinale McElroy, finora alla guida della diocesi di San Diego in California, forte assertore dei temi dell’accoglienza dei rifugiati e della necessaria transizione ecologica.
Il giovane resta un poco in silenzio, poi mi dice che da ragazzino ha avuto un bravo prete in parrocchia, capace di parlare alla vita delle persone. Sembra tradire un po’ di nostalgia. Poi è lui che sorprende me, confidandomi la sua fatica a confrontarsi con molti dei suoi compagni di università su alcune tematiche di attualità: “Se provi anche solo a mettere in discussione alcuni principi della cultura woke, ti massacrano”.
Con questa parola (che alla lettera significa stai all’erta!) si intende un movimento culturale nato negli Stati Uniti e diffusosi anche in Europa, che in nome di una giusta lotta contro il razzismo, le discrimina zioni sessuali, sociali ed economiche, ha assunto però spesso oggi pretese irrazionali e, paradossalmente, connotati violenti, negando il diritto di parola a chi si fa interprete di posizioni diverse o prova a problematizzarne il modo di vedere le cose. Woke, per capirsi, è usare l’asterisco al posto delle normali desinenze maschili o femminili di nomi e aggettivi; woke è rappresentare la regina d’Inghilterra in una serie tv in costume con la pelle nera; woke è pretendere di cambiare titoli e testi di opere letterarie o musicali del passato perché non conformi a ciò che oggi riteniamo politicamente corretto; woke è abbattere i monumenti di personaggi storici che non passano l’esame secondo i criteri della cultura di oggi. Woke è pensare di poter sempre fare e dire quel che si vuole, in qualunque parte del mondo ci si trovi, senza tener conto del le tradizioni religiose e culturali del posto.
In fondo, partita da sacrosanti aneliti di giustizia e fraternità, la cultura woke è di venuta, la caricatura di sé stessa, un assolutismo al contrario, espressione di quella “dittatura del relativismo” lucidamente descritta in più occasioni da Benedetto XVI.
Lascio il giovane universitario nei pressi della Biblioteca, mi ringrazia, ci salutiamo. La strada, ancora una volta, mi ha donato spunti interessanti di riflessione. Ascoltare i giovani è davvero importante. Penso che la Chiesa e i giovani potrebbero tornare ad essere amici. A fare un pezzetto di strada in più insieme, scoprendo magari inaspettatamente di andare nella stessa direzione.
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