«È stato come entrare in un film, ritrovarsi in luoghi del passato, rivivere insieme alle mie consorelle le loro ansie, paure, angosce sofferte in quei drammatici anni di guerra». Suor Albarosa Ines Bassani in una delle quattro stanze dell’archivio generale in Casa Madre a Vicenza (nella foto) li tiene tra le mani. Sono alcune delle lettere inedite, foglietti, parti di diari spirituali, resoconti scritti da alcune Dorotee durante la seconda guerra mondiale, all’allora Madre generale, suor Ubaldina Capovilla. Testi preziosissimi grazie ai quali, oggi, possiamo conoscere gesta straordinarie da Vicenza a Roma, da Genova fino in Terra Santa che suor Albarosa racconta in “Le suore della libertà . Tra guerra e resistenza (1940-1945)”. Storie di ebrei nascosti, di militari e prigionieri, di famiglie sfamate, neonati e bambini protetti, partigiani curati come figli e accompagnati alla fucilazione, storie di strazio e sofferenza sotto le bombe, ma anche di preghiera e vite salvate. In silenzio. Con forza e umiltà . Uno spaccato inedito e sconosciuto della guerra.
Suor Albarosa, perché così tanti scritti?
«Ogni mese, le Superiori delle varie missioni, in Italia e nel mondo, dovevano aggiornare la Madre generale su come andava. Noi Dorotee abbiamo una grandissima tradizione archivista. Il Fondatore Farina ha creato un protocollo. Lui stesso protocollava tutto quello che riceveva, divideva il materiale in sezioni, il “titolario”, ad esempio: persone, case filali, rapporti con le autorità . Abbiamo un archivio dai primi dell’800 ordinato e molto preciso. Le prime lettere mi sono capitate in mano nel 2007, per caso, mentre cercavo altro. Man mano che le trovavo le fotocopiavo e le mettevo da parte. Alcune erano lettere confidenziali, riservate, scritte da suore che conoscevo, ancora in vita. Le intervistai usando un registratore con le cassette. Su cinque, oggi è viva solo suor Beniamina Vedelago che ha 94 anni».
Alla madre generale, suor Ubaldina, è dedicata una delle tre sezioni del libro. Ebbe un ruolo decisivo.Â
«È stata straordinaria. Quando scoppiò la guerra riceveva aggiornamenti da tutta Italia, dalla Terra Santa e dall’America Latina. Qualche suora già le scriveva “Dicono che sta per scoppiare una guerra, che cosa facciamo?”. Lei le tranquillizzava, ma nel frattempo parlava con il vescovo Zinato e la Curia. C’erano le ordinanze ministeriali per creare rifugi. Quando l’Italia è entrata in guerra a Genova c’erano già bombardamenti, qui a Vicenza no, le suore della Terra Santa dopo tre giorni erano già state internate nel campo di concentramento inglese. Suor Ubaldina scriveva loro di vivere abbandonate al Signore come aveva fatto suor Bertilla (Boscardin ndr) durante la prima guerra mondiale, di continuare a lavorare e di seguire le opere, di rimanere con la gente».
Alcune, sotto i bombardamenti, impazzirono. Ad esempio suor Bernarda non si riprese più. Suor Diletta da Roma, nel 1944, scrive: «Non so se può darsi il nome di vita a questa nostra».Â
«A guerra scoppiata la Madre generale diede la possibilità alle sue suore di rientare a Vicenza. Nessuna lo fece. Rimasero tutte al loro posto».
Le lettere arrivavano a destinazione grazie ai mezzi di comunicazione della Santa Sede.
«Suor Ubaldina riusciva ad avere notizie delle suore che vivevano al sud o all’estero grazie agli organi diplomatici del Vaticano. La Madre generale si rivolgeva al Vescovo, che scriveva all’Ufficio informazioni della Segreteria di Stato Vaticano. Era il corriere vaticano a passare la linea gotica che separava gli alleati che avanzavano dal sud dai territori più a nord, ancora occupati dai tedeschi. Radio Vaticana, poi, faceva una cosa bellissima. Ha trasmesso milioni di comunicazioni del tipo: “Suor Giulia Cantone chiede notizie di suo fratello che è a Strongoli”. Suo fratello a sua volta tramite la Radio rispondeva: “Si comunica a suor Giulia Cantone che suo fratello sta bene”. C’era un momento in cui tutti ascoltavano Radio Vaticana per sapere come stava una persona cara. Da tutta Italia, poi, le suore mandavano le lettere in Casa Madre attraverso soldati o persone di fiducia. Un altro ruolo fondamentale nel 1943-1944 fu quello della Croce rossa internazionale. Negli archivi del Vaticano ci sono stanze intere di schede di prigionieri politici del Reich tedesco che chiedevano aiuto a Pio XII. Le ho viste con i miei occhi. Il Vaticano segretamente ha lavorato attraverso la diplomazia».Â
Qual è la storia alla quale si è affezionata di più?
«Ce ne sono molte: la storia di suor Pier Damiana, superiora dell’Istituto delle sordomute di Venezia, che rischiò la fucilazione per aver nascosto tra il 1943 e il 1944 tre signore ebree, due vicentine e una travigiana, inserendole tra le consorelle in comunità . Ma anche quella di suor Demetria, “l’angelo di San Biagio”, in servizio nelle carceri di Vicenza, che assisteva i prigionieri torturati dai fascisti o quelli che dovevano essere fucilati. Faceva la staffetta tra il Comitato di liberazione e i prigionieri politici. Passava in cella a portare sigarette, vestiti e cibo sotto l’ampio vestito. Medicava le piaghe ai partigiani che ritornavano dagli interrogatori sanguinanti. In via Fratelli Albanese, poco lontano da qui, c’era il comitato del capitano Mario Carità , famoso fascista torturatore. Mi ha colpito anche la storia di suor Diodata, infermiera nell’ospedale di Sandrigo, che aiutò una mamma a perdonare l’uccisore (fascista) di suo figlio (partigiano). I due erano amici d’infanzia».
Personalmente che cosa le rimane di questo lavoro, come l’ha arricchita?
«La cosa che mi ha colpito di più è l’autonomia con cui le consorelle hanno agito, con forza, equilibrio, saggezza, intelligenza senza autorizzazione. Rispetto ad altri istituti noi dorotee abbiamo una tradizione di dipendenza religiosa molto forte. Le ho ammirate immensamente. Leggendo le lettere sono cresciuta con loro. Un lettera che una suora scrive in confidenza alla madre generale è la sua anima. Ho scoperto come sono arrivate a trovare la pace, la generosità dell’offerta. Tutte erano disposte a dare la vita per la pace, per la salvezza di altri. Io lo chiamo “eroismo della santità ”, vissuto nella normalità . Nessuna si è ritenuta un’eroina, se non glielo chiedevi neppure lo raccontavano, oppure lo raccontavano come la nonna narra le sue avventure da giovane».
Marta Randon