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Home Via Crucis

Stazione XI – L’urlo di dolore del Salvatore inchiodato sul legno

5 Marzo 2021
in Via Crucis
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Stazione XI – L’urlo di dolore del Salvatore inchiodato sul legno

Gesù inchiodato alla croce (Stazione XI), olio su tela, 1995.

La bocca spalancata del Cristo è un’esplosione di sofferenza atroce.

Dal Vangelo secondo Marco 15,22. 2527.

Condussero dunque Gesù al Golgota, che significa luogo del cranio. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero, e l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: ‘Il Re dei Giudei’. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra’.

La tela con “Gesù inchiodato alla croce” di Paolino Rangoni è incentrata sulla drammatica figura di Cristo posta longitudinalmente nello spazio pittorico. Il Suo volto, dagli occhi e bocca spalancati in una smorfia di immenso dolore, è collocato esattamente al centro della tela così che lo sguardo di noi fedeli sia attirato proprio in quel punto. L’artista, infatti, mette in scena il dramma attraverso una costruzione rigorosa in cui tutte le direttrici, mediane e diagonali, ci portano ad osservare il viso percorso da rivoli di sangue del Figlio di Dio per meditare intensamente sulla Sua sofferenza.

Nella parte superiore della tela, oltre il volto di Gesù, si affollano i soldati, le pie donne con Maria e uno dei due ladroni, con la croce sulle spalle, in un turbinio di movimenti e gestualità. Nella parte inferiore, invece, vibra la staticità del corpo del soldato che si stende trasversalmente su Cristo per fermarne lo spasmo delle membra doloranti. In primo piano il pittore pone i piedi del Salvatore, contratti dal dolore e percorsi da profonde e lunghe pieghe, con le dita accartocciate e rattrappite in modo innaturale. Questa tela, forse più delle altre quattordici che compongono il ciclo tematico, è davvero percorsa da un penetrante realismo e da una potente forza progettuale. La tonalità verde che accompagna tutta la serie di dipinti si fa, qui, meno intensa a favore di toni più brumosi come l’ocra e il marrone. Non serve, infatti, all’autore utilizzare i colori aspri per dare maggiore senso al dramma: è sufficiente quel volto di Cristo al centro della tela!

Della crocifissione è parte questa terribile tensione che penetra le mani, i piedi e tutte le ossa di Gesù: terribile tensione del corpo tutto intero, che, inchiodato come un oggetto alle travi della Croce, sta per essere annientato fino alla fine, nelle convulsioni della morte. Gesù si è fatto inchiodare sulla croce, accettando la terribile crudeltà di questo dolore, la distruzione del suo corpo e della sua dignità. Si è fatto inchiodare, ha sofferto senza fughe e senza compromessi tutto quanto la crudeltà umana poteva inventarsi. La tela ci fa raccapricciare: la mano sinistra di Gesù – dove il chiodo è già tutto conficcato – riceve l’ultimo colpo di martello, duramente assestato tanto che le dita flettono! Muscoloso il soldato, che con forza notevole con un colpo netto pianta il chiodo nel carpo e lo ribatte saldamente sul legno. I chirurghi hanno notato che non appena un chiodo viene conficcato nel carpo, il pollice si ritrae nell’interno del palmo della mano. La mano destra, usata per liberare malati e indemoniati dalla malattia e dalla morte del cuore, sta per essere inchiodata: il chiodo è approntato, il martello è levato in alto dalla mano destra del carnefice, che con la sinistra tiene fermo il braccio. Un volto tenebroso e senza emozioni accompagna il gesto terribile. Nessuno ha pietà del Figlio dell’Uomo. Impressiona l’urlo di dolore del Salvatore, urlo che esce dalla tela, scavalca gli spazi, arriva dritto nel cuore. La bocca spalancata di Gesù è un’esplosione di sofferenza atroce. Quel corpo è solo dolore e sofferenza. Per evitare le reazioni scomposte di un fisico tormentato da una nuova efferata violenza, uno dei soldati gli è sopra e con il suo peso blocca le contrazioni dello scempio, che istintivamente sconvolgono la persona di Gesù. I suoi piedi sono contratti in maniera innaturale: primo piano che ci grida solo sofferenza indicibile. Un altro soldato ha in mano altri chiodi per i piedi e, nel frattempo, indica al suo pari, il posto giusto dove collocare il ferro nella mano del Salvatore. Dietro la Madre, piegata e quasi annientata dallo spasimo cui vede sottoposto il Figlio. Non ha quasi più volto, sfigurata da tale assurda, caparbia violenza. È sostenuta da due donne, mentre sembra stia schiantandosi al suolo; lei ridotta a un grumo di volto sovrastato dai veli. Sulla destra arranca uno dei due ladroni, anche lui portando il suo legno, stretto alla gola da un ferro, impugnato da un soldato, che con protervia, lo sta trascinando all’esecuzione. Il soldato ha una lunga lancia… Quando gli aguzzini alzeranno la croce, inizierà una agonia che durerà tre ore. Bisogna che si adempia anche questa parola: ‘Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me’ (Gv 12, 32). Oggi molti nostri fratelli e sorelle sono inchiodati ad un letto di dolore, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle nostre famiglie. È il tempo della prova, in amari giorni di solitudine e anche di disperazione: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», e questa pandemia ha amplificato tutto. Ma non sfugge a nessuno quanti siano anche oggi quelli che vengono crocifissi. Perfino attardarsi sulla rievocazione delle violenze ci dà l’impressione di essere stancamente ripetitivi: stiamo vivendo in un mondo e in giorni dove la violenza sembra moltiplicarsi. La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame, ci sfilano davanti agli occhi e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco. Il nostro animo si gonfia di turbamento. C’è solo il silenzio.

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