Questo è un dipinto giocato tutto attorno ai volti che si affollano attorno al condannato.
Ciò che colpisce immediatamente in questa tela di Rangoni è il volto femminile che sbuca alle spalle di Gesù e che guarda fuori dal dipinto, direttamente verso di noi. Si tratta di un viso dolce: la bocca è espressiva, l’incarnato è chiaro e luminoso, gli occhi, liquidi, sembrano quasi richiamare la nostra attenzione verso quel che sta avvenendo vicino a lei. Proprio accanto alla donna, in primo piano, c’è il viso di Cristo con lo sguardo rivolto a terra e, in evidenza, la corona di spine posta sul capo. Intorno a loro, vi sono altri volti di madri e di donne dall’espressione triste, dagli occhi colmi di lacrime che partecipano alla sofferenza del Salvatore. È un dipinto, questo, giocato tutto attorno ai volti che vi si affollano! Volti di donne, preoccupate, che si stringono a Gesù, in contrasto netto con quello della guardia che, a destra, trascina Cristo legato nei polsi ad una corda sottile che ne macera le carni. Anche il crudele soldato guarda fuori dalla tela, ma non direttamente verso di noi. Il suo è uno sguardo impietoso, il volto è scavato dalla bruttezza, gli occhi sono una macchia scura. Le orecchie a punta e il mento sporgente determinano inequivocabilmente che si tratta di una bruttezza dell’anima che emerge violenta nei tratti somatici.
A concludere la carrellata di volti, in secondo piano rispetto a Cristo e alla guardia, c’è, silenzioso, il Cireneo. Egli ci guarda, sembra che la sua bocca sia stirata in un sorriso abbozzato mentre regge con vigore la croce. Il Cireneo così come le donne che ci scrutano dal fondo, ci chiamano per far parte, con loro, di quella schiera di donne e uomini che hanno percorso, anche solo per un breve tratto, la strada con Cristo. Fra la gente che osserva il passaggio del Signore,vi sono alcune donne che non possono trattenerela compassione e scoppiano in lacrime. Ma il Signore dirige il loro pianto verso un motivo più alto, e le invita a piangere per i peccati che sono la causa della Passione, per il male prodotto dagli uomini che sempre segna la storia. Colpiscono nel dipinto quei volti di donne, di madri; volti di donne che hanno allattato figli, volti di donne che negli occhi portano la speranza per il futuro della loro prole. Donne che abbracciano Gesù, in questo momento di patimento, donne che gli si fanno vicino, facendolo quasi piegare – Gesù non ha quasi più forza – verso di loro.
Dietro al condannato, il Cireneo che con forza porta il “patibulum” e davanti quel soldato che sta tirando la corda che lega le mani di Gesù per distanziarlo da questo abbraccio. La corda è quasi un taglio nella tela, il tentativo di tagliare Gesù da questi pianti. Le donne e i presenti non comprendono le parole di Gesù. Sono parole per i giorni terribili della caduta di Gerusalemme, la città che nega e uccide Dio! Parole terribili per noi peccatori e per la nostra società, che in nome di una falsa civiltà e di un falso progresso, con la superba presunzione del suo sapere, nega e crocifigge Dio! In questo incontro, l’ultimo prima della croce, emerge ancora una volta l’amore senza misura di Gesù verso gli ultimi e gli emarginati: le donne infatti, a quel tempo, non erano considerate degne di essere interpellate. Gesù è veramente rivoluzionario: si ferma, accoglie il loro pianto, parla loro senza giri di parole, senza l’ipocrisia che caratterizza il parlare ai nostri giorni. Le avverte di cambiare, di impegnarsi perché il destino dei figli sia diverso.
Ma il pianto delle mamme di Gerusalemme è soltanto una piccola goccia del fiume di lacrime versato dalle mamme di tutti i tempi e in tutti i luoghi: mamme di figli malati, emarginati, mamme di crocifissi, mamme di drogati, mamme di figli alla deriva, mamme rifiutate dai figli, mamme di assassini, mamme di terroristi, mamme di stupratori, mamme di pazzi: … ma sempre mamme!

