Via Crucis

Stazione III – Gesù cade sotto la croce

di don Francesco Gasparini, Manuela Mantiero

L’opera di Paolino Rangoni esposta al Museo diocesano ci fa trattenere il respiro.

La figura di Cristo, collocata al centro della tela inginocchiata sotto il carico grave della croce, regola e conduce le dinamiche del quadro. Le direttrici, sia mediane che diagonali, conducono il nostro sguardo al Suo petto, esattamente nell’intersezione fra la luce che si accende del verde della veste e l’ombra proiettata dal viso chino. Se ci soffermiamo sulla figura di Gesù, il nostro animo trattiene il respiro, ci aspettiamo di vederlo rialzare da un momento all’altro e tutto il resto scompare. Se, al contrario, cominciamo con lo sguardo a divagare e rivolgiamo la nostra attenzione su ciò che sta succedendo attorno, iniziamo a percepire il brusio della folla vociante che fa da cortina al dipinto. Come in diversi altri dipinti del ciclo, Rangoni utilizza tre piani di successione per creare il senso della profondità: tra Cristo e la gente appena accennata all’orizzonte vi sono, infatti, alcune figure poderose che accompagnano l’incedere del cammino del Figlio di Dio, pienamente esposte alla luminosità.

In effetti, la luce riveste un ruolo centrale nel sottolineare la fatica di Gesù, la baldanza di chi lo schernisce e l’umiltà di chi lo vuole aiutare con il volto in ombra, proprio di colui che fa il bene senza apparenza ma nella verità della sostanza. Emerge in questa tela, più che mai potente, la capacità dell’artista di accompagnare con la pittura la nostra empatia e di guidarci nella lettura attenta dell’opera. (m.m.) Gesù cade sotto la croce. Ciò avverrà per tre volte sul cammino relativamente breve della “via dolorosa”. Cade per lo sfinimento. Il corpo insanguinato dalla flagellazione, il capo coronato di spine. Tutto questo fa sì che gli manchino le forze. Cade, dunque, e la croce con il suo peso lo schiaccia contro la terra. Colui che aveva fatto camminare gli zoppi, gli storpi, cade a terra.

La caduta di Gesù sotto la croce non è soltanto la caduta dell’uomo Gesù, già sfinito dalla flagellazione. Qui emerge qualcosa di più profondo, come Paolo dice ai Filippesi: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini […] umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8). Nella caduta di Gesù sotto il peso del patibulumappare l’intera sua via: il suo volontario abbassamento per salvarci. Non gli bastò essere uomo come noi, adesso è a terra, fatto terra per sollevarci dal nostro orgoglio.

Cristo a stento si rialza per riprendere il cammino. I soldati che lo scortano cercano di stimolarlo con grida di bocche sguaiate e con colpi. È strano il soldato di destra, che sembra avere un atteggiamento di umanità, aiutando il Salvatore a mettersi in piedi. La mano smisurata del soldato centrale è violenza fisica, violenza verbale, che si impone con forza sugli altri soldati presenti. Sullo sfondo persone come “larve” che seguono curiose: un gregge senza pastore. Un giovane barbato, con gli occhi chiusi, sembra intonare un lamento, un salmo, un’invocazione perché quel condannato abbia consolazione. Un raggio di luce in quel tormento. Gesù sembra avvinghiato al legno, con dita grosse che lo ghermiscono. Quel legno è il peso che lo sta schiacciando, ma è pure la sua forza, perché dal legno verrà la salvezza per tutti gli uomini. Dopo un attimo il corteo ripartirà. Gesù cade e si rialza. In questo modo, il Redentore del mondo si rivolge senza parole a tutti coloro che cadono. Li esorta a rialzarsi: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, nonvivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siamo stati guariti”

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