Ha lavorato con Bergoglio a Buenos Aires, quando il Papa era ancora arcivescovo, e poi a Roma, come sottosegretario del Dicastero per il Servizio alla sviluppo umano e integrale. Sabato 7 dicembre padre Fabio Baggio, scalabriniano nato e cresciuto a Bassano del Grappa, è stato creato cardinale, diventando così il quarto vicentino a vestire la porpora e il secondo che potrà partecipare al conclave come cardinale elettore.
Padre Fabio, dopo il concistoro verrà ordinato Vescovo a Bassano, l’11 gennaio. Perché questa scelta?
«È un ritornare dove tutto è partito. La mia storia comincia a Bassano e nel centro missionario che era Seminario minore. Sono nato in casa il 15 gennaio 1965, nel quartiere di San Lazzaro, ma poi ho vissuto la mia infanzia in Quartiere Firenze, frequentando la parrocchia di Santa Croce e il Comune dei Giovani. A 11 anni sono entrato in Seminario seguendo le orme di mio fratello Gianantonio, che me ne parlava tanto bene. Il Santo Padre mi ha dato questa possibilità di onorare la mia origine, dove è iniziato tutto: la fede, la catechesi, il Seminario, i voti perpetui, l’ordinazione diaconale e poi quella presbiterale, avvenuta l’11 luglio 1992 nella chiesa di Santa Croce, assieme a mio fratello (ad ordinarli, mons. Loris Capovilla, già arcivescovo di Loreto e segretario di Papa Giovanni XXIII, ndr). Una “striscia” in cui lo Spirito è intervenuto diverse volte».
Dopo Bassano ha completato il ginnasio a Piacenza e il noviziato a Loreto. Ha mai avuto dubbi se proseguire il suo percorso nella congregazione dei Missionari di San Carlo? Cosa l’ha motivata a proseguire?
«Ho maturato la mia scelta vocazionale negli anni ‘80, dopo tanti momenti di ripensamento e di confronto con i formatori, confronto proseguito negli anni successivi per analizzare le tante sfide e le tante situazioni che possono presentarsi. Con i voti perpetui le sfide non finiscono. Ogni missione presenta le sue, non ci sono solo successi, ma anche fallimenti. Quello che ti fa andare avanti è l’abbandonarsi al Signore. Non sempre le nostre forze sono sufficienti alla sua chiamata, bisogna avere al forza del suo Spirito che possiamo ottenere sono con la preghiera e con un affidamento totale».
C’è stato un momento o un luogo nella sua vita che leha fatto dire “ok, sto facendo la cosa giusta”?
«Ci sono stati diversi luoghi. A 17 anni ricordo un incontro con i migranti in Germania, durante un camposcuola che rappresentò un momento profondo di discernimento vocazionale. Pur nella loro diversità ci sono state esperienze in Cile e in Argentina che mi hanno fatto comprendere l’importanza di questa vocazione a servizio dei migranti. Conoscere tante situazioni, alcune molto tragiche, fa riflettere sull’importanza di essere presenti come Chiesa e come credenti al fianco dei migranti».
In Cile ci arriva nel 1994 per occuparsi della pastorale migratoria e nel 1997 si trasferisce a Buenos Aires come direttore dell’ufficio per la pastorale dei migranti. Di lì a poco arriva Bergoglio come arcivescovo. Che ricordi ha di quel periodo?
«Ricordo quando sono andato in curia per conoscerlo, mi stava aspettando per strutturare insieme la pastorale migratoria. Ho trovato una persona attenta ai fenomeni sociali, mi sono sentito a mio agio all’interno del suo progetto pastorale e negli anni in cui abbiamo lavorato insieme non c’è stato un momento in cui non mi sia sentito sostenuto. Lo ricordo nella sua semplicità e umiltà alla prima festa dei migranti che organizzammo. Ci aspettavamo di vederlo arrivare in auto e lui ci sorprese arrivando in autobus. Girava con i mezzi pubblici, si confondeva tra la gente. Era stato tra le menti più brillanti dei gesuiti in Argentina e ha messo la sua esperienza e le sue conoscenze a servizio della Diocesi, con molto rispetto per il passato e grande visione di futuro. Caratteristiche che conserva tuttora ».
Nel 2002 viene assegnato alle Filippine e nel 2010 torna a Roma. Nel 2013 Bergoglio sale al soglio Pontificio e nel 2016 il Papa la chiama al Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano e integrale. È stata quasi una “rimpatriata”?
«Sì, è stato l’incontro con un vecchio amico con il quale avevamo lavorato molto bene insieme ai tempi di Buenos Aires, cercando di impostare la pastorale migratoria alla luce dei primi arrivi massicci di migranti e di alcuni fenomeni di tratta».
Probabilmente quello dei migranti, assieme all’ecologia,è stato il tema più importante del magistero sociale di Papa Francesco. Che ne pensa?
«Sono pienamente d’accordo. L’attenzione che ha avuto il Santo Padre per le sfide che le migrazioni pongono e per l’ecologia integrale è stata grande, come lo è stata quella per gli ultimi, per i poveri, per la famiglia e per la Chiesa “in uscita”. Questi potrebbero essere i tratti fondamentali del suo pontificato ».
Che lavoro avete svolto, in questi anni, al Dicastero?
«Il Vaticano vanta un punto di vista privilegiato sulle situazioni che consente di leggere la realtà nella sua complessità e con tutte le interconnessioni che esistono tra i vari fenomeni. Questo ci ha permesso di dialogare con le Chiese locali e con le società per attuare risposte concrete».
Sono stati frequenti i confronti con Francesco in questi anni?
«Gli incontri con lui sono stati di due tipi, di amicizia e di “ufficio”, con altri superiori del dicastero. In entrambi i casi, il Papa dimostra grande attenzione agli sviluppi dei fenomeni nel mondo e offre indicazioni sempre molto chiare».
Ha parlato di persona con il Santo Padre dopo aver saputo che verrà creato cardinale?
«Sì, ho chiesto un incontro. Ormai è noto che non ero molto propenso a questa nomina. Pensavo che il lavoro che sto facendo andasse già benissimo e sono molto legato alla mia congregazione. Ma di fronte alla volontà del Papa bisogna dire di sì. Se il Papa ha scelto me ci saranno delle ragioni, mi sento estremamente onorato e cercherò di rispondere nel miglior modo possibile».
Cosa significa per lei essere cardinale oggi in questa Chiesa e in questo contesto globale? Le tremano i polsi?
«No, non è quella la reazione che vivo in questo momento. Ammetto di non avere piena coscienza di ciò che significherà. È una cosa a cui non avevo mai pensato e lo scoprirò con il tempo. Il Papa nel 2013 ha avviato una riforma e le persone che vuole al suo fianco devono essere pronte ad accompagnarlo in questa visione di “Chiesa in uscita”. Mi trovo in linea con questo progetto, a mio agio. Sono contento di accompagnare questa realtà. Con una guida e un orizzonte chiaro e lucido diventa più facile collaborare con il Santo Padre».
Come si immagina il “dopo Francesco”? Secondo lei, che Chiesa ha preso forma in questi anni?
«Rispondere è sempre più difficile. Nessuno ha la sfera di cristallo. Nessuno si aspettava Francesco e nessuno si aspettava la riforma. In questi anni ho sentito le difficoltà che questo processo ha generato e l’entusiasmo che ha raccolto in giro per il mondo. Ma il processo è avviato e credo che quella di una Chiesa in uscita, vicina alle periferie, che diventa significativa accompagnando le persone escluse, sia una riforma che non si può fermare. Ha un grande significato nel mondo di oggi e tanto dipenderà da quanto il mondo vorrà essere Regno di Dio. Oggi non è più possibile parlare solo a livello locale. L’economia, i conflitti, le grandi migrazioni sono fenomeni interconnessi. Un’umanità restaurata, l’ecologia posta la centro, sono due situazioni sulle quali bisogna riflettere a livello mondiale e fare delle scelte. Il rischio è la nostra distruzione come umanità e come pianeta. È molto importante riprendere in mano il nucleo centrale del messaggio cristiano: gli ultimi saranno i primi, il potere come servizio. Sono dinamiche paradossali, ma sono i paradossi evangelici che ci fanno Chiesa».
Andrea Frison
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