Sono passati 60 anni (il prossimo 11 aprile) dall’enciclica più strana e più originale che un papa abbia scritto. Giovanni XXIII è stato un papa originale per la coraggiosa idea di un concilio (aveva 78 anni). Ma l’enciclica “Pacem in terris”, firmata a poco meno di un mese dalla morte, è il fatto più originale del Papa buono: è il suo testamento buono, per un mondo che immaginava buono.
Enciclica originale anzitutto. Perché fu scritta dopo che due uomini si erano fermati alle soglie di una catastrofe (le navi americane stavano per incrociare le navi russe in viaggio con i missili nucleari verso Cuba). Era l’ottobre 1962, il concilio Vaticano II era appena iniziato, e il mondo si trovava “sull’orlo del burrone atomico”. Papa Giovanni intervenne con un radio-messaggio il 25 ottobre, indirizzato agli uomini di buona volontà, in cui chiedeva la pace «a nome delle persone e delle comunità». E la strada suggerita dal papa – l’unica per i potenti (USA e URSS) che si fronteggiavano – era «la testimonianza di fronte alle coscienze di ognuno e davanti alla storia». Una sola testimonianza: continuare a trattare prima di entrare in conflitto. Sappiamo dalla storia che i due potenti (Kennedy e Chrushev) questa testimonianza la diedero. Non ci fu lo scontro, e iniziò una stagione di distensione. E dopo una guerra “evitata” il papa scrisse “Pacem in terris”, l’unica enciclica sulla pace dove non si chie-de la pace (è già stata fatta!), ma si rilancia un gesto, che il papa aveva visto insieme con tutto il mondo, facendolo diventare l’inizio di un programma mondiale.
L’enciclica ebbe una sorte molto strana. Alla pace garantita da un gesto, ci si abituò. E “Pacem in terris” fu presto accantonata, contestata, utilizzata come argomento di scontro continuo nei periodi in cui la storia entrava di nuovo, dopo il 1963, alla vecchia tentazione della guerra (Vietnam, Afghanistan, Bosnia, Iraq …). “Pacem in terris” seminava ciò che doveva nascere da quel gesto intelligente e coraggioso che il mondo aveva visto, nell’ottobre del 1962. Due potenze capaci di fermare una guerra diventavano il punto di partenza per proseguire. Il papa rilanciava: la pace è scritta nel cuore di ogni persona, per questo i potenti si sono fermati. La pace può lavorare ancora di più, mettendo in ordine ogni relazione: tra persone, tra popoli, nel mondo intero. Roncalli usa continuamente nella “Pacem in terris” la parola «ordine», che non è il comando di qualcosa, è semplicemente il contrario del «disordine». Nel cuore di ogni uomo sta scritto un «ordine», l’equilibrio, la saggezza, il desiderio di armonia e di vita. Ed è questo «ordine» che va esteso: |difendere la giustizia, riconoscere la stupidità dell’uso delle armi, promuovere i diritti di ogni persona, fondare la convivenza non più su rapporti di forza ma sulla verità, sull’amore e sulla libertà|. Il papa immaginava un futuro «ordinato», a partire dalla guerra evitata nel 1962.
Sulla pace, invece, ci siamo addormentati. Ed è così che dal 1963 al 2022 abbiamo visto un rilancio della guerra in forme sempre più locali, sempre più silenziose e veloci, sempre più difese dai potenti di ogni parte, sempre più alimentate da armamenti che si mangiano il meglio della scienza e il meglio dell’economia. |Se papa Giovanni immaginava nel 1963 un «ordine» da costruire sulla pace, dopo 60 anni siamo di fronte a un «disordine» che tocca l’evoluzione della guerra|, la quale non è più la resa dei conti tra eserciti, ma una distruzione di paesi, di città, di persone innocenti. Ed è una guerra davanti alla quale litigano gli indignati delle armi cattive, e i tifosi delle armi buone. Stiamo entrando in una contraddizione tale che non sappiamo più come uscirne, e sarà la guerra a farci “uscire” facendoci “entrare” tutti in essa?
Rileggiamo solo una manciata di parole, del vecchio papa Giovanni, che pensava a un mondo in cui «si smontano gli spiriti, adoperandosi sinceramente a dissolvere in loro la psicosi bellica … riteniamo che si tratti un obiettivo che può essere conseguito» (“Pacem in terris”, n. 61). Nel 1963 il papa pensava che la diminuzione della psicosi bellica fosse un «obiettivo raggiungibile». Dopo 60 anni abbiamo qualche altro obiettivo?
Tutti dicono di volere la pace, ma se la strada per raggiungerla è continuare a sostenere la legge del più forte, come ne usciremo? Non riuscire a fermare le armi che attaccano, può andare insieme con l’unica strada di dare armi a chi si difende?
“Pacem in terris” non risolve certamente i problemi di oggi. Sono i problemi di oggi a renderci sempre più lontani dalla Pacem in terris. Basta una semplice domanda: la «legge del più forte» è una «legge del disordine o dell’ordine»? La risposta, che ciascuno deve dare a se stesso, è l’unica verifica personale di quanto siamo vicini a “Pacem in terris”.
La «legge del più forte» non è mai «legge dell’ordine». Un vecchio papa, e una vecchia enciclica è attuale almeno in questo punto: la forza riuscirà a mettere «in ordine» questo mondo ? O lo sta portando «alla pace» eterna dei cimiteri?
La pace non è scomparsa. Nelle coscienze in cui abita ancora, là dove è desiderata, detta, e promossa la pace protegge l’unico «ordine» di un mondo umano. La freddezza con la quale ci stiamo abituando alla guerra è un «disordine» cristiano e umano. Perché ci abitua ad essere spettatori dei conflitti (facendo il tifo per l’uno o per l’altro); ci abitua ad essere complici impotenti (togliere armi all’uno e contemporaneamente darne all’altro); ci abitua ad essere vittime di speculazioni che ci fanno pagare mentre guardiamo “la partita” della guerra; ci abitua al silenzio scandaloso sul profitto astronomico dell’economia delle armi. E tutto questo, tra 60 anni, lo chiameranno «ordine», o «disordine»?