Il campanello di casa non suona, il telefono tace, l’abitazione è immersa nel silenzio, rotto solo dalla televisione. L’improvviso vociare dei nipotini dei vicini non fa che portare il pensiero ai propri, che da tanto non si fanno vedere. Ci si sente prigionieri in casa, tristi e abbandonati. Sembra che non ci sia più nessuno che ti voglia parlare, che sia disposto a farti compagnia, neppure a stringerti la mano. È una condizione che pesa sulle lunghe giornate di molte persone anziane, e ha un nome: solitudine. Dietro le facciate dei palazzi cittadini o delle villette che disseminano la nostra bella campagna… quante solitudini. Nelle stanze delle case di riposo o delle residenze protette, dove viene assicurato il cibo e l’assistenza medica, ma forse manca la presenza, il conforto, l’affetto dei propri familiari… quante solitudini. Mai come oggi disponiamo di occasioni e di strumenti che permettono di essere “connessi” ai nostri simili, ma rimanendo spesso paradossalmente “isolati”. È finita la pandemia del Covid, con la dura esperienza del lockdown, l’isolamento imposto per ragioni sanitarie, eppure non siamo mai stati così soli come oggi. Entro il 2030, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione sarà la malattia cronica più diffusa nel mondo. Più del cancro, più delle patologie cardiache. I principali sintomi associati alla depressione sono di natura emotiva, come i pensieri negativi, la tristezza, la solitudine. Negli Stati Uniti tre adulti su cinque si dicono “soli”, il 60% degli inglesi non conosce il nome dei propri vicini di casa. Anche per questo il governo britannico ha lanciato una «strategia per la solitudine», con l’intento di affrontare «una delle più grandi sfide per la salute pubblica del nostro tempo». E ha nominato un “Ministro per la solitudine” (progetto replicato in Giappone) incaricato di porre rimedio ai problemi sociali legati a una condizione sempre più diffusa e pervasiva, che segna profondamente anziani, adulti, ma anche giovanissimi.
Come è stato possibile arrivare a quella che è stata chiamata una “epidemia di solitudine”? Secondo Noreena Hertz, l’economista inglese autrice del saggio Il secolo della solitudine, questo è il risultato di società che hanno incoraggiato una mentalità brutalmente competitiva, spingendo a vedere gli altri come concorrenti o nemici e a mettere l’interesse personale al di sopra delle comunità e del bene collettivo.
Una preziosa occasione per riflettere su questo disagio epocale e per rimotivare un impegno personale e comunitario contro la solitudine, è la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani che si celebra questa domenica, voluta da papa Francesco per «valorizzare i carismi dei nonni e degli anziani e il loro apporto alla vita della Chiesa, favorire l’impegno di ogni comunità ecclesiale nel costruire legami tra le generazioni e combattere la solitudine».
Il card. Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, afferma che «le famiglie e la comunità ecclesiale sono chiamate a essere in prima linea nel promuovere una cultura dell’incontro, per creare spazi di condivisione, di ascolto, per offrire sostegno e affetto», in modo da dare «concretezza all’amore del Vangelo». L’appello viene rivolto in quest’occasione a comunità e famiglie, affinché «con la loro tenerezza e con un’attenzione affettuosa che non dimentica i suoi membri più fragili», ma anche con iniziative e gesti concreti di vicinanza fisica ed emotiva, siano capaci di «rendere manifesto l’amore di Dio, che non abbandona nessuno, mai».
Padre Giovanni Lazzara, direttore Portavoce di San Leopoldo Mandiç