Sarà Mauro Magatti, sociologo, economista e docente dell’Università Cattolica di Milano, l’ospite martedì 3 maggio (inizio alle 17.30) del primo incontro pubblico che gli Istituti superiori di Scienze religiose in rete nella Facoltà teologica del Triveneto propongono insieme. L’obiettivo è quello di promuovere una proposta formativa congiunta e rafforzare la visibilità della rete che collega i diversi centri teologici accademici del Triveneto. “Specialisti gioiosi. Le scienze religiose nel contesto attuale” è il titolo dell’incontro. L’appuntamento che si terrà nella Sala Teatro del Centro Onisto a Vicenza e che si potrà seguire anche on line (collegandosi al link https://tediscite.webex.com/meet/av4.issrvicenza) sarà coordinato dal prof. Leopoldo Sandonà direttore dell’Istituto berico.
Abbiamo raggiunto al telefono il sociologo della Cattolica per qualche domanda. La prima è quella che è anche al centro del volume “La scommessa cattolica” (Edizioni Il Mulino) scritto da Mauro Magatti e Chiara Giaccardi: “C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?”. Si tratta di una domanda di grande attualità, per certi versi ancor più di due anni fa, poco prima dello scoppio della pandemia, quando il volume è uscito.
«La risposta – ci dice Mauro Magatti – è ancora più convintamente “sì”, nel senso che è evidente, anche con le ultime vicende della guerra, che c’è una questione spirituale che riguarda l’Occidente. Questi dispone di grandi tecnologie e ricchezza materiale, ma è povero spiritualmente. Per affrontare queste grandi crisi non bastano la tecnologia e l’economia. Serve anche una dimensione spirituale che in Occidente non può che venire dal cristianesimo».
La libertà è una delle dimensioni di grandissima attualità considerate nel vostro libro. Oggi come si declina la libertà nell’uomo contemporaneo?
«Questa si esprime da una parte ancora come una libertà di scelta portata all’estreme conseguenze. C’è l’idea che non siamo mai abbastanza liberi, perché non abbiamo mai un numero sufficiente di opzioni tra cui scegliere. Dall’altra parte c’è anche la sua reazione: da molti anni, in maniera sempre più forte, c’è una libertà che si traduce, all’incontrario, in una domanda di sicurezza. Dal punto di vista sociologico registro questa polarizzazione tra le due visioni. La grande tradizione cristiana insegna, invece, una modalità che noi chiamiamo quella dell’affidamento, che ha un modo di esporsi alla vita e ai suoi rischi con fiducia e con capacità generativa».
Nel libro considerate il rapporto della libertà con la politica evidenziando che ci sono due modelli contrapposti: quello occidentale e quello autarchico che oggi si stanno scontrando. Che esito si può immaginare per questa contrapposizione?
«È una contrapposizione che esiste sia dentro ai paesi europei tra progressismo e populismo, sia a livello internazionale con una certa idea di Occidente e tutte le reazioni che hanno un’ispirazione fondamentalistica. Il tema è evitare di sposare questa linea di contrapposizione perché altrimenti siamo destinati al puro conflitto. Noi Occidentali abbiamo sicuramente dei grandi tesori, quale l’idea di libertà personale. Esiste peraltro un’ambivalenza tra individualismo radicale e populismo rispetto alla quale dobbiamo fare dei passi in avanti. Questo significa, per noi, pensare alla libertà in una chiave relazionale. Dall’altra parte ci sono altri mondi che hanno il problema opposto: hanno troppo poco a cuore il tema della libertà personale e ragionano ancora a partire dal gruppo e dalla collettività. Questi Paesi devono riscoprire la positività dell’autonomia personale. Invece di vedere queste differenze in termini di contrapposizione, dovremmo cercare di vederle come un percorso che deve riguardare tanto le autocrazie, quanto le nostre democrazie».
Serve un vero ascolto reciproco. È così?
«Non si tratta di dire che noi siamo sbagliati e gli altri giusti, ma che anche noi non abbiamo costruito la civiltà perfetta e che tutti abbiamo tanta strada da fare. Se riuscissimo a riconoscere questo come un terreno comune, sarebbe un grande passo in avanti. Chi vuole lavorare per la pace deve essere animato da questo atteggiamento».
Il titolo dell’appuntamento promosso dagli Issr del Triveneto richiama i dper i quali, affermate, non c’è il richiamo del trascendente. Perché?
«Per lo specialista, che poi è il tecnocrate, l’unica cosa che conta sono le certezze che può dare la scienza o la razionalità economica. Lui perde così la capacità di quel movimento che noi chiamiamo eccedente che è il movimento della vita: questa infatti non è mai riducibile a un calcolo. Lo specialista finisce prigioniero della sua competenza che è preziosa ma non esaurisce la realtà. Il gaudente dall’altra parte scambia la felicità effimera con la pienezza della vita. Stiamo dentro alla realtà, ma nessuna realtà, come già insegnava sant’Agostino, sarà in grado di soddisfare il nostro cuore. Questo non porta a svalutare la realtà materiale anche concreta, ma porta a vedere le cose in una prospettiva differente».
Gli Issr del Triveneto, a partire dai due tipi umani già indicati da Max Weber “gli specialista senza spirito” e i “gaudenti senza cuore”, propongono in modo positivo la figura degli “specialisti gioiosi”. Dal suo osservatorio quanto è importante che i credenti siano competenti e motivati nel proprio impegno e dunque ci sia una formazione come quella che possono dare gli Istituti superiori di scienze religiose?
«Va premesso che il cristianesimo non è una cultura e non è una religione per dotti. Non dobbiamo fare l’università per essere cristiani. Il cristianesimo è un’esperienza molto concreta e popolare, come ci ricorda papa Francesco. Al tempo stesso il cristianesimo ha bisogno di essere all’altezza del proprio tempo. La fede per essere incarnata ha bisogno di confrontarsi in maniera adeguata con la cultura del tempo nelle sue diverse forme. Su questo la situazione ecclesiale è abbastanza sconfortante: è come se si fosse creato un ritardo enorme tra tanti nostri mondi ecclesiali e la cultura. Se manca questo sforzo di ricerca anche culturale è un disastro. Da questo punto di vista l’indicazione di Francesco è chiara: questo lavoro va fatto non tanto partendo da teorie, quanto rielaborando l’esperienza concreta. Bisogna immergersi nella concretezza dell’esperienza umana contemporanea e rileggerla alla luce del Vangelo. Questo lavoro va fatto, ma non attardiamoci a pensare che ci sia qualche professore o qualche dottrina che ci mette in sicurezza, proviamo invece a immergerci nell’umano contemporaneo e a vederlo con gli occhi del Vangelo».
L’intervista completa al sociologo Mauro Magatti si può leggere sulla versione cartacea de La Voce dei Berici del primo maggio.