Marina, 21 anni, abita a San Pietroburgo, seconda città della Russia dopo Mosca. Non vuole che scriviamo il suo cognome, né il nome dell’Università che frequenta. La paura è di essere espulsa: «Il mio governo ha mandato in prigione persone anche solo per un “mi piace” nei social network – racconta -. Vorrei sentirmi al sicuro. E, mi raccomando, nessuna foto». La giovane ha studiato quasi cinque mesi in Europa, in Polonia, grazie ad un accordo tra le due università ed è rientrata in Russia una settimana prima che scoppiasse la guerra.
Marina, tre settimane fa era in Europa, ora non può uscire dal suo Paese. Come si sente?
«Il mio umore è pessimo. Sono ripiombata nel periodo prima dei miei studi in Polonia, confinata in Russia per la quarantena e la pandemia. Non facendo parte dell’Unione Europea non potevo superare i confini per viaggiare. Gli studi in Polonia hanno rappresentato una specie di cura, un ritorno alla vita normale. Lì ho incontrato molte persone interessanti, ho ascoltato diversi punti di vista. Ho visitato anche Roma e Firenze. Tornare in Russia è stato difficile, soprattutto mentalmente. Tutto è peggiorato a causa di questa “operazione militare speciale” (mentre parla fa il sengo delle virgolette con le mani ndr). Tutti i miei sogni, i miei piani sono sfumati. Ora è come se tutto stesse bruciando».
“Operazione militare speciale” è un’espressione di Putin. Si fida delle parole del suo Presidente?
«Non mi fido di lui in questa situazione e nemmeno in generale. In Russia è proibito usare la parola “guerra” per definire il conflitto in corso. Se qualcuno si azzarda a chiamarlo così, specialmente nei social media, può essere arrestato: per il governo sono fake news. Non si può stare dalla parte dell’Ucraina, pena fino a 15 anni di reclusione. Lo dice una legge speciale approvata dal Parlamento».
Per lei quello che sta accadendo in Ucraina che cos’è?
«È una guerra, non ho dubbi».
Qual è la sua posizione?
«Sono contro questa guerra. Tutto parte da lontano. Anche se entrambe le parti avessero responsabilità non è giusto che muoiano migliaia di persone. Gli ucraini sono come fratelli e sorelle; abbiamo un’origine comune, lavoriamo insieme, parliamo la stessa lingua. La Russia nasce a Kiev. Conosco molti ucraini, anche il migliore amico di mio fratello è ucraino, adesso si trova a Kharkiv, dorme nei bunker. Penso che nel ventunesimo secolo invece della guerra si debbano usare altri modi per risolvere i problemi. Anche se la Russia avesse ragione detesto il fatto che il mio governo menta ai cittadini, per esempio dicendo che non sarebbero stati colpiti obiettivi civili. Un’enorme bugia. In tv nascondono informazioni ed è proibito scrivere e dire queste cose. Sono arrabbiata perché ognuno ha il diritto di protestare. Stiamo perdendo tutto. Non possiamo viaggiare, studiare all’estero. Presto non potremo neanche accedere a YouTube. Voglio una vita normale, senza sanzioni, non voglio che le persone a me care soffrano perché hanno perso i loro sogni e le loro ambizioni solo a causa delle decisioni di una persona che non si è mai confrontata con i cittadini. Tutti i miei amici si sentono persi e spaventati, non sanno più che cosa fare. I primi giorni mi sentivo all’inferno. Provo a controllare le emozioni, ad essere più positiva, ma vedo che tutti i miei amici soffrono e sono confusi. Mi sento ostaggio del mio Paese».
Quali opportunità vede scomparse?
«Molti giovani vogliono andare a vivere in Europa, oppure frequentare un master. Il prossimo semestre alcuni miei compagni di università dovevano partecipare ad un programma di scambio con l’estero. Una ragazza che conosco stava per partire per gli Stati Uniti d’America. La nostra vita si è fermata. Il mondo è contro di noi, contro i russi e il mio paese. Non c’è possibilità di tornare indietro. Le decisioni del nostro governo avranno delle conseguenze pesantissime nel lungo periodo. Penso che le subiremo per il resto della nostra vita».
Dove si informa? I social media in Russia sono permessi?
«Non guardo mai la televisione. È inutile. La tv non è indipendente. Tutti i social media sono controllati dal governo. Le persone che si informano in televisione appartengono soprattutto alle generazioni più vecchie, come quella dei miei nonni. Loro credono che quello che sta succedendo sia giusto, che tutto vada bene. In realtà viene trasmesso solo il punto di vista del nostro presidente. Purtroppo gli credono in molti, io non posso ascoltarli altrimenti divento pazza. Su Instagram seguo delle persone che ora sono in Ucraina e anche diversi politici. Leggo le notizie su Telegram dove ci sono molti canali indipendenti e dove si possono leggere le news e verificare se quelle che circolano sono fake. Per il momento possiamo usare anche YouTube e TikTok. I giornali indipendenti non trattano le questioni politiche: se provano a scrivere qualcosa di contrario al governo vengono chiusi. La mia fonte principale è internet (finché è possibile ndr)».
Cosa pensa la sua famiglia? E i suoi nonni?
«I miei nonni hanno vissuto in Unione Sovietica, in tempi in cui tutto era chiuso, non c’erano informazioni. Mia nonna, ad esempio, non ha gli strumenti per capire se una cosa è vera o falsa. Non usa i social. Ho la fortuna di vivere in una grande città, i miei coetanei sono aperti mentalmente. Nelle città piccole è molto diverso. La Russia non è solo Mosca e San Pietroburgo. In generale quello che sta succedendo non importa a nessuno. La maggior parte non è interessata, non può capire quello che succede. In questo momento sono da un’amica, al confine con il Kazakistan: qui a nessuno importa di ciò che sta accadendo in Ucraina. Né agli anziani, né ai giovani.Chi sostiene la guerra, anche alla mia età, dice che questa invasione è giusta perché stiamo salvando i russi in Ucraina.
Conosco diverse persone che supportano Putin. I miei nonni mi dicono che sono una credulona, che devo lasciare stare lo “stupido internet”. I miei genitori non hanno mai votato per Putin, ma allo stesso tempo credono che l’Ucraina abbia delle responsabilità per aver bombardato il Donbass. Dicono che è pericoloso se la Nato si allarga in Ucraina. In famiglia evito il discorso, non voglio litigare».