Centrodestra spaccato, sempre più donne che ci mettono la faccia, civismo e astensionismo che fanno rima. L’8 e 9 giugno si vota in 75 Comuni del Vicentino e in 309 della regione Veneto. Il turno di ballottaggio si terrà il 23 e 24 giugno. Con Luca Romano, direttore della società di ricerche Local Area Network di Padova, approfondiamo gli aspetti più importanti di questa tornata elettorale.
Lega e Fratelli d’Italia in alcuni comuni con più di 15mila abitanti (uno su tutti Bassano del Grappa) corrono divisi. Prove generali delle regionali?
«Appare evidente che nel centrodestra Veneto è scattata una concorrenza interna in vista del dopo Zaia, nella logica del “contiamoci”. E, quindi, non solo le elezioni Amministrative, ma anche quelle Europee, saranno giudicate un verdetto in quanto proporzionali e generali; l’offerta dei partiti non si sente vincolata e sarà misurabile su tutta la regione, non solo su casi amministrativi specifici. Un altro motivo di interesse è il fatto che Forza Italia, che viene data in crescita, non esce da una legislatura regionale in maggioranza di fatto e, quindi, potrà porre a sua volta delle condizioni per l’alleanza. Comunque vadano i risultati, è la Lega che dovrà interrogarsi sulla fine di un ciclo lungo di egemonia, in cui trovava candidati alle amministrative ad ogni angolo di strada. La spinta dal basso della struttura produttiva a favore dell’autonomia si è molto attenuata e la verticalizzazione del sistema politico verso l’alto appare rafforzata dal Pnrr, premendo sul sistema istituzionale a un livello di area vasta, più che comunale. Un livello, però, in cui la Pubblica Amministrazione non appare ben organizzata, anche se è in corso d’opera la costituzione di stazioni appaltanti qualificate per gestire con più efficacia i fondi».
Il civismo negli anni è cresciuto in modo importante. Perché secondo lei? Cosa c’è di veramente civico, quanto invece si tratta di partiti “camuffati”?
«Il civismo inteso in senso classico come mobilitazione dei “veri” interessi locali è ormai in declino perché il tema oggi, soprattutto per i Comuni piccoli e per le città-impresa dei distretti industriali, sono le connessioni e la capacità di mettere assieme uno straccio di progettualità comune per intercettare i flussi finanziari dall’alto. La varietà indubbia di liste cosiddette “civiche” che si presentano alle amministrative dell’ 8 – 9 giugno rivela, in realtà, la sempre minor presa dei partiti tradizionali nei territori e, quindi, la difficoltà di questi ad organizzarsi elettoralmente. Più che “partiti camuffati”, le liste civiche direi che sono espressioni auto organizzate dell’offerta politica per conclamata surroga dei partiti che non sono più organizzazioni di massa, ma comitati elettorali sempre più verticalizzati».
Civismo fa rima con astensionismo. Quanto le amministrative faranno da traino per le europee, che probabilmente senza le amministrative registrerebbero una scarsa affluenza alle urne?
«Ci sarà un calo, ma presumibilmente contenuto sia dalla concomitanza delle Amministrative, ma anche dall’importanza oggettiva che queste elezioni hanno per l’Europa: per la presenza effettiva di una guerra alle sue porte, per il fatto che il suo ruolo nel mondo è messo in discussione dalla geopolitica, per l’invecchiamento demografico e per le sfide del cambiamento climatico. Tutto converge nel far pensare che l’Europa fatta di “stato minimo” e di tanto mercato dovrà presto ripensarsi a fondo».
A proposito di invecchiamento demografico. I comuni, soprattutto quelli piccoli, chiudono scuole per aprire centri per anziani. In generale come si stanno ridisegnando i comuni, anche in Veneto?
«I Comuni compresi tra il Garda, la Pedemontana Veneta, la A4 (escluse le città capoluogo) e l’A27 mostrano tendenzialmente una lieve crescita della popolazione, soprattutto a causa del saldo migratorio, sia di prossimità che dall’estero. È il territorio che vive denatalità e invecchiamento, ma esercita ancora una certa attrattività economica. Invece per gran parte della fascia montana, di alta collina e le aree interne, il Polesine, ma anche per alcuni centri di alta valle, denatalità e invecchiamento inducono quello che ha detto lei circa scuole e case di riposo, proprio in quanto non solo non sono attrattive, ma perdono popolazione che si sposta nei centri di pianura dell’area del perimetro citato. Inoltre si sta manifestando un altro problema per poter compensare il calo demografico con una maggiore attrattività: l’offerta abitativa non esiste o è fuori mercato».
Quali sono le sfide maggiori che i comuni vicentini sono chiamati ad affrontare?
«La ristrutturazione del welfare in rapporto ai fenomeni demografici e alle disuguaglianze crescenti è in cima alla lista. Stanno nascendo gli Ambiti Territoriali Sociali che, integrati con la Medicina di territorio, sono gli asset strategici per effettuare questa ristrutturazione in modo appropriato. E come si vede stiamo sempre parlando di Comuni connessi in area vasta, non da soli. Appena a ridosso di questa priorità, c’è poi il tema delle leve dell’attrattività di persone, investimenti, eventi. Ebbene, qui la vedo dura perché per dare corso all’attrattività sono necessarie trasformazioni territoriali. Nei Comuni fatica a farsi strada una cultura che sappia tenere assieme sviluppo e ambiente, ma non ci sono alternative credibili a questo matrimonio».
Le recenti bombe d’acqua sono un problema. Che cosa possono fare i comuni?
«L’acqua sta facendo sperimentare a livello di massa il problema del cambiamento climatico. Il gioco di squadra è fondamentale per fare un salto di qualità con i bacini di laminazione, gli invasi di captazione per prevenire i periodi siccitosi, ma nel medio periodo ciò significa anche pulire i fiumi e gli argini, promuovere il riutilizzo industriale dell’acqua e aumentare le superfici permeabili. Da questo punto di vista sarebbe urgente una mappatura delle aree produttive e direzionali commerciali dismesse, promuovendo incentivi per bonificarle e riportarle a terreno agricolo».
In questa tornata elettorale ci sono diverse donne scese in campo. A parte le quote rosa, c’è secondo lei un nuovo ed effettivo interesse del mondo femminile per la politica locale?
«Sì, e questa è una bella notizia perché indiscutibilmente le donne hanno più sensibilità per i problemi della gente comune, più concretezza e senso pratico per risolverli».
Per i comuni con meno di 15mila abitanti non c’è più il limite del secondo mandato (in quelli piccolissimi non c’è alcun limite). Che cosa ne pensa? Andrebbe esteso anche ai comuni più grandi?
«Tutto sommato quella dell’elezione diretta dei Sindaci, dei ballottaggi e dei due mandati è una delle riforme meglio riuscite, o forse dovrei dire, meno peggio riuscite. Mi stupisce, invece, anche rispetto al dettato costituzionale sulla pari dignità delle istituzioni, che si aspetti ad introdurre il tetto dei due mandati anche per i parlamentari. È stucchevole vedere negato il terzo mandato a Presidenti di Regione e Sindaci da parte di gente che è a Roma da trent’anni e più».
Marta Randon