Itinerari

Tra le malghe a fare il formaggio


L’arte risale ai primi dell’anno mille. Una presenza tramandata di generazione che ha portato la tradizione casaria in pianura.

Nella lunga e calda estate appena terminata in tanti siamo andati a cercare refrigerio in montagna, e quale miglior posto, a pochi chilometri da casa, se non l’Altopiano di Asiago, un territorio che, seppur ferito dalla tempesta Vaia, offre un’incredibile varietà di ambienti? Basta lasciarsi condurre lungo la fitta rete di strade forestali e sentieri attraverso soleggiati pascoli e ombrose foreste di abeti fino alla catena di cime panoramiche che delimitano questo verde paradiso. Qualsiasi itinerario si scelga troveremo sempre almeno una malga a farci da punto di riferimento, una presenza che fa parte della storia dall’Altopiano e che risale, da documenti, a prima dell’anno Mille, quando su queste terre era già diffusa la lavorazione del formaggio. Una presenza tramandata di generazione che ha portato all’affinamento e alla diffusione, dopo la perdita di antichi privilegi e a causa degli eventi bellici, dell’arte casearia anche in pianura.

Massima attenzione alla filiera produttiva.

Queste le origini del Formaggio Asiago, oggi Dop, cioè a Denominazione di origine protetta, la cui produzione si estende, oltre al vicentino a parte delle province di Trento, Padova e Treviso. La qualità indiscussa di questo formaggio, nelle sue varie tipologie – pressato e dall’allevo (frutto delle due mungiture, mattutina e serale), che a seconda della stagionatura si dividono in fresco, mezzano, vecchio e stravecchio – è riconosciuta in Italia e all’estero. Ma quanti hanno avuto modo di apprezzare questo formaggio nelle malghe – non dimentichiamo che l’Altipiano di Asiago è il più grande comprensorio di monticazione d’Europa – sono rimasti sicuramene stupefatti, oltre che dal sapore, dagli intensi profumi di fiori ed erbe che le mandrie lasciate libere di pascolare vanno a cercare anche nei luoghi più impervi. Una peculiarità dell’allevamento nei territori di montagna – ci sono un centinaio di malghe, una trentina delle quali ancora attive, e 15 caseifici – riconosciuta nel 2006 dall’UE che ha concesso il marchio “Asiago Dop prodotto della montagna”, specialità casearia fatta ad di sopra dei 600 metri di quota. L’intera filiera produttiva, dalla raccolta e trasformazione del latte in formaggio all’affinatura, è controllata e tracciata in tutte le sue fasi attraverso una fattiva collaborazione tra Consorzio di tutela e produttori. Il successo di questo prodotto – tra il 2013 e il 2019 la produzione a passata da 37.292 a 61.237 forme – ha contribuito al mantenimento del delicato equilibro naturale del territorio montano e della sua biodiversità, in particolare, dell’Altopiano di Asiago, dove il carico di bestiame, con la conseguente produzione lattiera, è da sempre soggetto a regolamentazioni pubbliche molto severe.


L’Asiago Dop prodotto in montagna è una specialità realizzata al di sopra dei 600 m. di altitudine.

 

Mucche al pascolo.

Per far apprezzare meglio uno dei formaggi più conosciuti il Consorzio di tutela ha recentemente pubblicato il volumetto “Il ricettario della malga – 10 ricette con i ristoratori 7 Comuni” nato dal felice incontro umano e professionale tra il lavoro dei malghesi e quello degli chef dell’Altopiano, compagni di un’inedita escursione sulle vie dell’alpeggio alla scoperta dei sapori e dei profumi dell’Asiago di montagna declinato in gustose ricette, un allettante invito a scoprisi “gourmet” anche nella propria cucina.
Andar per malghe – sul sito Asiago.it c’è la descrizione di diversi itinerari ad anello – non è solo un camminare lento nella natura alla ricerca di sapori genuini – oltre al formaggio si possono assaggiare prodotti freschi (caciotte e tosella, oltre a burro, ricotta, panna fresca e yogurt) e salumi come sopresse, salami e pancette – ma è anche un viaggio nella storia, quella della Ia Guerra mondiale: dal forte Verena partì il primo colpo di cannone che segnò l’entrata in guerra dell’Italia e l’Altipiano fu l’ultimo baluardo alle offensive mimetizzate tra alberi e prati, si può dire che ogni metro quadrato del territorio porti ancor oggi i segni del sanguinoso conflitto.
Girare per le nostre malghe, mangiare o comprare prodotti di malga, è il modo migliore per salvaguardare la montagna. I malgari, o malghesi come oggi vengono chiamati, con il loro duro lavoro, spesso senza corrente e tecnologie, sono il modello di resistenza a cui dovremmo affidare le sorti della montagna.

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