“Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo”. Sono parole del cardinale e teologo Jean Daniélou, riprese dai vescovi italiani nella lettera alle comunità cristiane a 25 anni dal documento “Ero forestiero e mi avete ospitato”, diffusa in occasione della Pentecoste. E forse proprio lo Spirito Santo ci ha messo del suo, perché la lettera sembra scritta apposta per le vicende di questi giorni, in cui la vicenda della nave Aquarius e la Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno tengono alta l’attenzione sul tema delle migrazioni. Un fenomeno che – scrivono i Vescovi nel documento intitolato Comunità accoglienti-Uscire dalla paura – dal 1993 ad oggi è diventato “sorprendente nel suo incremento”.
“Nemmeno noi cristiani – scrivono i Vescovi – di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, con le sue opportunità e i suoi problemi, possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontarlo con realismo e intelligenza, con creatività e audacia, e al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche”. Il fenomeno richiede quindi “alle nostre comunità di avviare “processi educativi” che vadano al di là dell’emergenza, verso l’edificazione di comunità accoglienti capaci di essere “segno” e “lievito” di una società plurale costruita sulla fraternità e sul rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona”. L’invito dei vescovi è quello di guardare alle migrazioni come “un segno dei tempi”, “un luogo frequentato da Dio che chiede al credente di osare la solidarietà, la giustizia, la pace”.
Ma il fenomeno migratorio e le reazioni che provoca permettono anche di guardare con maggiore profondità dentro alla società italiana. “L’immigrazione – scrivono i Vescovi -, con le reazioni di rigetto che talvolta suscita, mette in luce un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo, che sempre più spesso si manifesta anche fra connazionali e addirittura all’interno delle famiglie”.
È questo il passaggio più difficile, concludono i Vescovi: “L’integrazione è un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità”.
Incontrare un immigrato, prosegue il documento, “significa fare i conti con la diversità. In questo incontro emerge la paura. Anzi, due paure si ritrovano a confronto: la mia paura e quella che prova lo straniero”. Paure legittime, scrivono i vescovi riportando le parole di Papa Francesco: “Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto”.
“La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes)”, scrivono i Vescovi, citando il cardinale Daniélou, e aggiungono: “È il passo che le nostre comunità devono saper compiere, non dimenticando l’importanza dell’ospitalità che porta all’incontro: «Alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,2)”.