Una giovane donna che ha imparato a pascolare le mandrie e sogna una fattoria tutta sua. Se la sua storia fosse ambientata nel vecchio west, ad un certo punto spunterebbero dalla collina banditi armati fino ai denti per metterle i bastoni tra le ruote. Magari anche un pistolero in cerca di redenzione, pronto ad aiutarla. Ma non serve correre con la fantasia, perché quella di Francesca Franzoni è una storia vera.
Ventun anni, giovane di Azione cattolica, di Quinto Vicentino, Francesca è la più giovane di cinque fratelli. La scorsa estate l’ha trascorsa in malga, tra le mucche, accompagnandole al pascolo, mungendole e preparando il formaggio. Il sogno di Francesca è questo: aprire un piccolo caseificio. E la passione che ci sta mettendo, è tanta. A casa sua ci imbastisce un piccolo campionario di assaggi: yogurt preparati la sera prima ai quali è servita la notte per essere pronti e un formaggio “primo sale” pronto per la degustazione e preparato nel tempo dell’intervista.
Francesca, questa passione per il formaggio e il pascolo quando è nata?
«I miei genitori gestiscono un emporio agricolo, io però ero indirizzata su ben altra strada. Sono sempre stata brava a scuola e dopo le scuole medie ho iniziato il liceo classico, al Pigafetta. Sono andata avanti due anni, poi ho deciso di cambiare».
Cosa è successo?
«Dentro di me sentivo questo desiderio: valorizzare l’agricoltura. Mi sono trovata spesso a dover convincere i miei coetanei sull’importanza di questo settore, ho dovuto anche combattere contro qualche pregiudizio. Però così, un po’ alla volta, ho capito quello che volevo fare davvero nella mia vita. Dedicarmi all’agricoltura».
I tuoi genitori come l’hanno presa?
«Ero troppo convinta, volevo dedicarmi a quello, anche se i miei non erano contenti. Per il lavoro che fanno, conoscono bene il settore, vedono le difficoltà che ci sono, specialmente per una donna».
«Frequentavo il liceo classico, ero anche brava, ma dentro di me sentivo il desiderio di dedicarmi all’agricoltura»
Il passaggio successivo qual è stato?
«Mi sono iscritta all’istituto agrario Duca degli Abruzzi, a Padova. Per conto mio ho recuperato gli anni che mi mancavano e ho iniziato il nuovo percorso di studi».
E te la sei cavata bene?
«Direi di sì, non ho smesso di essere brava a scuola neanche all’agraria. Sono uscita con il 97, specializzandomi nell’indirizzo di trasformazione dei prodotti. Poi mi sono iscritta all’università, dove per qualche mese ho frequentato scienze e tecnologie alimentari. Ma mi stava portando lontano dalla strada che volevo seguire».
E qual era questa strada?
«La trasformazione del prodotto, poter seguire la filiera concreta, dalla terra alla tavola, mettendoci qualcosa di mio».
Concretamente, dove sei andata a finire?
«In provincia di Cuneo, dove ho frequentato l’istituto caseario di Moretta. Ed è stata un “prova del nove”, perché l’istituto è molto specializzato e selettivo. L’ammissione dei candidati avviene dopo un colloquio sulle motivazioni che ciascuno ha. Beh, alla fine mi hanno presa».
Il “battesimo del pascolo” dove è stato?
«A Pian delle Fugazze, in una malga che alleva capre. È stato stupendo. Ho imparato a fare cose che mai avevo immaginato. Mi dividevo tra l’attività del pascolo, assieme al malgaro, e la produzione del formaggio, con sua moglie. Dal malgaro ho imparato tantissimo, soprattutto osservando, perché in genere i malgari non parlano molto… Ma alla fine dell’esperienza facevo cose che neanche immaginavo esistessero».
Per esempio?
«Lavorare con il cane da pastore. È stato incredibile. Le capre sono animali molto intelligenti, affettuosi, sono come dei cagnolini. Però hanno la testa dura. E tanta memoria. Se una si ricorda di un ciuffetto d’erba saporito, parte per conto suo e se lo va a cercare. Il cane serve per tenere insieme il gregge. Si mette dal lato opposto del malgaro. Ti osserva in continuazione e capisce cosa deve fare semplicemente guardandolo. Stupendo».
Hai mai dovuto recuperare una capra?
«Una volta al malgaro è toccato andare fino al monte Cornetto. Quelle, se si arrampicano arrivano dappertutto».
Le mucche saranno state più tranquille…
«Certo, ma bisogna saperle prendere. La scorsa estate l’ho passata in Val Duron, vicino a Val di Fassa. Accompagnavo al pascolo una ventina di vacche, seguivo la mungitura e il caseificio che rifornisce uno dei rifugi della zona. L’inverno, invece, lo passerò a Col Rodella, a 2300 metri di quota, per preparare i formaggi che riforniranno il rifugio».
Tra l’estate e l’inverno, cosa fai?
«Non credo di aver finito di imparare, per cui sto facendo esperienza. Faccio consulenze, o vado a lavorare in qualche caseificio. Poco tempo fa sono stata in Abruzzo, in un caseificio specializzato in formaggi di pecora».
Hai detto che spesso hai incontrato dei pregiudizi, verso il mondo agricolo. Perché, secondo te, andrebbe riscoperto?
«Perché, inconsapevolmente o meno, l’essere umano è diventato un danno per la natura. L’esperienza del pascolo, invece, mi ha fatta sentire parte integrante della natura. Quando ti senti parte della natura, contribuisci al suo sostentamento, cogli i piccoli particolari, ogni impercettibile suono, ogni piccolo cambiamento. Da sola, al pascolo, in silenzio per così tanto tempo, si impara a crescere. Perché quando sei solo con i tuoi pensieri non puoi scappare, cosí impari ad ascoltare te stesso e, grazie a Dio, s’impara a vivere dell’essenziale».
Hai passato mesi da sola in malga. Ma non ti pesa il silenzio?
«È la cosa che mi hanno chiesto anche amici che sono venuti a trovarmi, dicendomi che loro non resisterebbero tre giorni. Ma il silenzio è fondamentale per ogni persona. Certo, per stare insilenzio devi avere una pace interiore e stare 3-4 mesi in malga prima o poi i pensieri più profondi te li devi raccontare. Io ho vissuto serenamente quei mesi, sicuramente è il mio habitat. Amo il silenzio e amo stare con le persone: non sono due dimensioni in contrasto».
«L’esperienza del pascolo, invece, mi ha fatta sentire parte integrante della natura. Quando ti senti parte della natura, contribuisci al suo sostentamento, cogli i piccoli particolari, ogni impercettibile suono, ogni piccolo cambiamento»
Quanto c’entra la tua fede in Dio in tutto questo?
«Non posso certo dire di aver scelto questa vita per la mia fede, ma è indubbio che l’essere a contatto quotidianamente con la natura, sentirmene parte, poterla contemplare, lavorare con le cose create è anche espressione della mia fede in Dio. Poi io sono molto legata al mio nome e alla figura di Francesco perché c’entra molto con quello che faccio».
Quando sei sola preghi?
«Certo, a modo mio, con la natura. Per un credente quando è solo e in silenzio è in qualche modo naturale che esca la dimensione spirituale che si esprime a partire dalla contemplazione della creazione».
Progetti per il futuro?
«Il mio fidanzato, Francesco, fa il macellaio, e i miei genitori hanno una piccola azienda cerealicola. Mi piacerebbe prenderla in mano e trasformarla in qualcosa di produttivo realizzando un piccolo caseificio. Credo che mi dedicherò ai formaggi di pecora e di capra, sono molto particolari e interessanti come prodotti».
L’essere una ragazza ti ha mai creato difficoltà in questo lavoro?
«No, ma è tutta questione di carattere e di passione. So farmi valere, fidati. Solo una volta mi sono sentita un po’ presa in giro. Mi sono presentata a un caseificio che produce grana, e mi hanno chiesto se stavo cercando lavoro per mio marito. Mi sono fatta una risata, e ho chiesto se stavano scherzando. A parte la battuta maschilista, per produrre grana servono braccia, si spostano centinaia di forme al giorno. E comunque io voglio imparare a variare il prodotto, non fare sempre lo stesso»