Le elezioni politiche sono uno dei momenti fondamentali di ogni democrazia in cui il popolo esercita la propria sovranità eleggendo i rappresentanti in seno al Parlamento. In tale logica la legge elettorale è lo strumento che dovrebbe garantire tutto questo. Ora nella storia repubblicana sono state approvate diverse leggi elettorali che nel loro insieme hanno confermato, se ce n’era bisogno, che in materia elettorale non esiste una soluzione legislativa migliore in assoluto. L’altra conferma registrata è che quella in vigore è la peggiore legge elettorale fino ad ora adottata.
Si pensava che questo primato spettasse al Porcellum introdotto nel 2005 su idea dell’esponente leghista Roberto Calderoli (ricordate?) e invece il provvedimento approvato nel 2017 (al governo c’era Gentiloni) con un voto di fiducia voluto e imposto dall’allora segretario del Pd Matteo Renzi, è riuscito a fare peggio, con l’aggravante che nel frattempo è stato approvato il referendum costituzionale fortemente voluto dai 5Stelle che ha portato a una riduzione dei parlamentari.
Questa riduzione doveva accompagnarsi con una modifica delle legge elettorale come da accordi tra Pd e M5S, modifiche che non ci sono state e neanche si sono seriamente tentate. E così il sistema elettorale, alla luce della riduzione dei parlamentari da eleggere, ha assunto anche caratteri distorsivi in particolare nei confronti delle realtà territoriali più piccole.
Quando si vota devono o dovrebbero contemperarsi due principi: la governabilità e la rappresentatività.
L’attuale Rosatellum (dall’esponente Ettore Rosato (a suo tempo nel Pd oggi esponente di rilievo di Italia Viva) favorisce il formarsi di alleanze almeno elettorali. E la vittoria della destracentro mostra che, in questo senso, ha funzionato e dovrebbe garantire una certa stabilità. Molto meno positivo il bilancio relativo alla rappresentatività. La legge così come funziona, con liste bloccate, senza possibilità di esprimere da parte degli elettori, delle preferenze, appare un sistema promosso da un’oligarchia per garantire la stessa oligarchia composta, sostanzialmente dai capipartito e capicorrente. È questo un dato che attraversa, purtroppo, l’intero arco costituzionale. E così i capi si piazzano in posizioni ultrasicure e piazzano in posti appetibili altrettanti propri fedelissimi. E così il principio di rappresentanza viene sostituito con il principio di fedeltà e l’elettore viene esautorato del suo poter di contribuire a scegliere i propri rappresentanti. Anche nell’ultima tornata elettorale ancora prima di andare alle urne si conoscevano già il nome del 90 per cento degli eletti. Molti elettori hanno così la chiara sensazione di non servire nel gioco democratico già determinato con altri modi e in altre sedi.
Di fronte a questa situazione è evidente che l’astensione in continua e preoccupante crescita diventa un chiaro segnale di insoddisfazione da parte dei cittadini che andrebbe finalmente preso in considerazione nella consapevolezza che la qualità di una democrazia dipende anche dalle sue regole del gioco.
Ci fu agli inizi degli anni ’90 un grande movimento referendario trasversale che coinvolse l’intero Paese e che portò alla modifica della legge elettorale in senso maggioritario con la legge denominata Mattarellum, dal suo estensore, l’attuale presidente della Repubblica. Oggi la situazione è diversa, ma c’è la stessa urgenza di ripartire dal basso, dai cittadini. In questo senso c’è da chiedersi se non sia il momento di una nuova stagione referendaria che modifichi la legge elettorale. Sicuramente potrebbe avere l’effetto di dare una sveglia a una classe politica da troppo tempo concentrata soprattutto su se stessa.