«Una ferita nel cuore dell’Africa che continua a sanguinare». Così Anna Pozzi descrive la Repubblica Democratica del Congo, il Paese a cavallo dell’Equatore che dalla fine del ‘900 a oggi è stato il crocevia di alcune tra le vicende più cruciali non solo dell’Africa ma del mondo intero.
Giornalista, classe 1970, Anna Pozzi è redattrice redattrice della rivista del Pime “Mondo e missione” nonché collaboratrice di numerose testate missionarie.
Anna, nelle scorse settimane sono giunte notizie dei primi arresti legati all’uccisione del diplomatico italiano Luca Attanasio, nel Nord del Kivu, una regione tra le più pericolose del continente. Quali sono le ragioni di questa instabilità?
«All’indomani del genocidio in Ruanda, nel 1994, una parte del conflitto si è spostata oltre il confine, nella regione del Kivu, dove erano riparati i fuggischi hutu dopo che i tutsi avevano riconquistato il Paese. Da lì sono iniziati 25 anni di caos e destabilizzazione, funzionali allo sfruttamento delle materie prime dell’area. Si tratta di un conflitto endemico che ha provocato 6 milioni di morti, 4 milioni di profughi, centinaia di migliaia di donne brutalmente violentate. Questo senza considerare le conseguenze indirette: sono venuti meno il diritto alla salute e all’istruzione, ipoteche per il futuro pesantissime».
Negli anni scorsi la zona è stata colpita da un’epidemia del virus Ebola e in queste settimane l’eruzione del vulcano Nyiragongo, alle porte del capoluogo Goma, ha provocato 400 mila sfollati. Un fatto che ha portato il Consiglio norvegese per i rifugiati a inserire la crisi congolese tra le dieci crisi umanitarie più ignorate al mondo.
«Purtroppo a livello internazionale non si fa niente per cercare di risolvere una situazione che è anche molto complessa. Nel Kivu operano centoventi gruppi ribelli, è impossibile solo capire con chi dialogare. Dal 2000, inoltre, è presente nell’area un’importante missione Onu, che però è molto detestata dalla popolazione e rischia di diventare a sua volta parte del conflitto».
Sulle vicende del Congo e sulla scena internazionale assume sempre maggiore rilevanza il ruolo del Ruanda e del suo presidente Paul Kagame. Perchè?
«Nel Ruanda esiste una situazione di conflittualità interna che Kagame è riuscito a spostare fuori dai propri confini riuscendo così a controllare una parte di territorio del Congo e sfruttarne le risorse. Nelle zone occupate dall’esercito ruandese i minerali vengono scavati artigianalmente ed esportati in Ruanda da dove poi vengono venduti in tutto il mondo. Con il paradosso, per citarne un esempio, che il Ruanda vende tantissimo coltan senza avere una sola miniera nel suo territorio».
Per rimanere in tema di “vicini”, le violenze che attraversano il Sud Sudan sono paragonabili a quelle dell’est del Congo?
«Le motivazioni degli scontri stanno in conflitti interni al principale clan del Sud Sudan. Ma il livello di violenza è altissimo (ne sono rimaste vittime il vescovo vicentino di Rumbek Christian Carlassare, ferito alle gambe, e due operatori locali del Cuamm, uccisi la scorsa settimana, ndr), perché circolano tantissime armi».
Tornando al Congo, in uno scenario già complicato si è inserito anche il fattore religioso. Giusto?
«Negli ultimi anni si è intensificata la presenza di un terrorismo jihadista ugandese. Un fenomeno nuovo che ha portato in Africa una componente jihadista in zone dove non si era mai vista, come il nord del Mozambico ».
Un ruolo “storico”, nel Paese, è invece svolto dalla Chiesa cattolica.
«La Chiesa cattolica in Congo rappresenta un punto di riferimento nazionale, soprattutto nei territori dell’est di cui parlavamo prima, per quanto riguarda istruzione e salute. Ma è anche di più, è un ancoraggio di speranza. Ha sempre espresso grandi leadership, figure molto rilevanti che hanno fatto la storia della Chiesa e del Congo, di alto profilo politico. I suoi vescovi parlano con un linguaggio, schietto e diretto, a volte durissimo. La Chiesa fa anche un grandissimo lavoro nell’ambito dell’educazione civica. Le elezioni del 2006, le ultime che si sono svolte, sono state possibili perché la Chiesa ha svolto un lavoro capillare di sensibilizzazione. Tutto questo fa della Chiesa cattolica un presidio di umanità in quella terra».
Una terra che sarà capace di risollevarsi, secondo lei?
«Il Congo è una ferita nel cuore dell’Africa che continua a sanguinare. E che non potrà guarire in tempi brevi. Ma questa è solo una faccia del Congo, che è anche un Paese dinamicissimo, con una popolazione giovane e brillante, vivace. È un Paese che ha potenzialità enormi. Quando ci riuscirà, farà passi da gigante, perché è un gigante».