Li conosciamo come The Sun, ma la nota rock band italiana è l’evoluzione artistica dei vicentini Sun Eats Hours, formatasi nel 1997 e composta da Francesco Lorenzi (autore, cantante e chitarrista), Riccardo Rossi (batterista), Matteo Reghelin (bassista), Gianluca Menegozzo (chitarrista). Vent’anni di musica, di palchi e di cambiamenti. Oggi la loro musica parla il linguaggio di una svolta, quella spirituale. Ma da dove è partito tutto? Ce lo ha raccontato il frontman Francesco, in viaggio, direzione Milano, con il resto della band per firmare le copie pre ordinate del nuovo album.
Francesco, siete stati anche voi band emergente. Come è iniziato il tutto?
“Eravamo adolescenti, stavamo crescendo nella provincia di Vicenza: una vita semplice e una grande passione per la musica californiana. Abbiamo messo insieme il gruppo per il desiderio di suonare le canzoni che ascoltavamo (The Offspring, Green Day,…). Dopo pochi mesi io e Riky, il batterista, abbiamo sentito profondamente il desiderio di metterci tutto il cuore, tutta la vita su questa passione. Quindi, nonostante la giovanissima età, abbiamo preso decisioni chiare, nette. Io, per esempio, a 16 anni ho scelto di abbandonare le attività sportive e una serie di altre situazioni per dedicarmi completamente alla musica”.
Vi siete anche voi “scontrati” con una serie di problematiche, come la ricerca di un posto dove fare le prove, i locali a cui proporvi…?
“Agli inizi suonavamo nel garage della casa di Riccardo, poi in una piccola saletta parrocchiale. Nonostante non fossimo frequentatori di chiesa, don Piergiorgio Sandonà ci diede una piccola stanza nella parrocchia di San Vincenzo, a Thiene. In quella circostanza, lui ci appoggiò dicendo: “Meglio che i ragazzi siano custoditi in un ambiente protetto, come quello parrocchiale”. Dopo due anni siamo tornati a casa di Riky, dove avevamo costruito una sala prove. A 16 anni abbiamo registrato una decina di pezzi e mandato il disco a etichette discografiche, giornali… è un lavoro che abbiamo fatto mossi dall’entusiasmo. Bisogna avere molta perseveranza se si vuole suonare. È una strada meravigliosa, ma non mancano difficoltà, e questo è bene saperlo prima”.
Perseveranti così tanto da arrivare ad aprire alcuni dei più grandi concerti. Come è successo?
“È stato quando abbiamo pubblicato il primo album, nel 2000. Una canzone del disco era stata inclusa in un cd allegato al magazine Rock Sound, che al tempo vendeva oltre 50 mila copie. Questo attirò l’attenzione su di noi. Nel febbraio del 2001, quando gli Offspring erano in tour in Italia, un amico mi disse che il management del gruppo stava cercando delle band supporter. Mandai quindi una canzone e fummo selezionati per aprire il loro concerto al Palaverde (Tv). Partì, poi, una nostra tournée che ci portò ad essere chiamati anche su altri palchi molto importanti”.
Cosa facevate dopo i concerti?
“Riuscivamo a stare con gli artisti. Nel 2010 abbiamo suonato al concerto dei Deep Purple. Siamo ai vertici della musica, ma i componenti avevano voglia di conoscerci, ci hanno invitati in camerino, ci hanno offerto del buon vino, hanno voluto scambiare opinioni con noi. A loro era piaciuto il nostro modo di suonare”.
Per voi era vero il detto “sesso, droga e rock’n’roll”?
“Eh sì, era vero, purtroppo, perché al tempo eravamo figli di quel cliché. Ma oggi sentiamo quanto sia limitante quello stereotipo, quanto freghi l’anima, solamente perché c’è un’idea di come si deve vivere se fai il musicista. Oggi siamo le persone più libere che io conosca. Ed è una libertà impagabile. Se invece penso a “sesso, droga e rock’n’roll” penso a quanto sia un inneggiare alla schiavitù. Quando esci da quella visione, capisci che le cose che contano sono l’autenticità e la libertà”.
Infatti è arrivata una svolta spirituale. E a livello musicale?
“Oggi le canzoni sono frutto di quella libertà interiore di cui ho parlato prima. La musica è rimasta energica, forte, entusiasta, però oggi ha una libertà che prima non aveva”.
Aprile 2018 si riparte. Come?
“Ripartiamo con una tournée e uno spettacolo. In questi ultimi 5 anni abbiamo portato in centinaia di città una sorta di spettacolo teatrale, con musica, parole, video e testimonianze. Oggi c’è il desiderio di diffondere questa formula dove difficilmente si può portare uno spettacolo teatrale, quindi nelle piazze, nei festival, anche in luoghi rumorosi”.
Francesco, siete felici oggi?
“Moltissimo. Più che felicità, è una gioia in divenire. Quando si è soddisfatti si rischia di adagiarsi, invece questa gioia ci chiede di essere sempre in cammino”.