A pochi mesi di distanza dalla sua presentazione all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, ha debuttato nelle sale “Chiara”, l’ultimo film della regista Susanna Nicchiarelli che, dopo gli elogiati “Nico, 1988” (2017) e “Miss Marx” (2020), decide di misurarsi con una delle Sante più conosciute e popolari chiudendo una sorta di personale trilogia dedicata al mondo femminile.
La scena iniziale ci presenta una diciottenne Chiara che, ad Assisi in una notte del 1211, fugge insieme ad un’amica dalla sua famiglia aristocratica per raggiungere Francesco. I due daranno inizio ad una rivoluzione che cambierà la loro vita e quella di coloro che gli staranno accanto. Per portare avanti il loro sogno di libertà dovranno lottare con tutte le loro forze e, anche quando le strade dei due si separeranno, la ragazza continuerà a portare avanti con straordinaria determinazione il suo percorso umano e spirituale. Arriverà perfino ad opporsi alle ingerenze provenienti dal papato che in un primo momento non vedeva di buon occhio un ordine monastico di sole donne votato alla povertà e dedito agli ultimi. Pur non tralasciando di mostrare i diversi miracoli che le sono stati attribuiti, traspare nettamente l’intenzione della regista di focalizzarsi non tanto su un cammino di fede, ma piuttosto sulla biografia di una giovane ragazza che ha avuto il coraggio di fare una scelta radicale nonostante i numerosi ostacoli che la società di allora le aveva messo davanti. In questo senso, il rapporto di amicizia e sostegno reciproco che si instaura tra lei e Francesco e che durerà fino alla morte di quest’ultimo, è senza dubbio uno degli aspetti più interessanti del lungometraggio.
Passato un po’ in sordina durante il festival del Lido, si tratta di un’opera biografico-storica innovativa e improntata a gettare una nuova luce su una figura che, perlomeno in ambito cinematografico, è finita spesso relegata in secondo piano rispetto al Santo patrono d’Italia. Il primo aspetto che rende l’approccio della Nicchiarelli così diverso e particolare rispetto ad altre produzioni a carattere storico maggiormente convenzionali è la scelta di riprodurre il contesto dei primi decenni del tredicesimo secolo ponendo molta attenzione all’aspetto realistico, che si può riscontrare visibilmente nella scelta delle ambientazioni e nell’utilizzo della luce. Un’altra peculiarità che potrebbe apparire a qualcuno magari troppo azzardata, ma che invece infonde un’intensa autenticità ai vari dialoghi, è la scelta di utilizzare la lingua volgare dell’epoca: cercando di riprodurre il modo di parlare in voga a quel tempo viene evidenziata ancora di più la volontà della protagonista di avvicinarsi alla gente e di farsi comprendere da tutti, a discapito dello scetticismo col quale inizialmente i vertici della Chiesa di allora guardavano all’operato suo e di Francesco. Tra gli elementi più rilevanti di Chiara vi è inoltre l’utilizzo della musica all’interno di alcune sequenze coreografiche che rimandano esplicitamente al genere musical e che vengono proposte nei momenti chiave della vicenda narrata allo scopo di rimarcare lo spirito di gioia e di libertà che animava la giovane Santa e le sue seguaci. È dunque soprattutto la musica, che comprende una vasta gamma di brani che spazia dalla musica sacra alle ballate dell’amor cortese, fino a una canzone del rapper Salmo nel finale, a connettere emotivamente lo spettatore con il personaggio principale, con la sua forza d’animo e la sua caparbietà. Tuttavia, a dare il vero contributo fondamentale per rendere questo film un affresco profondo e coinvolgente ci pensa l’attrice protagonista, una bravissima Margherita Mazzucco che durante le riprese aveva la stessa età di Chiara quando scappò dalla casa paterna per ricominciare un nuovo percorso di vita.