Papa Francesco ci ha lasciato. E come sempre accade con le persone che ti erano in qualche modo familiari, inizi a rendertene conto davvero solo dopo i funera li. Passa il momento emotivo, quello in cui c’è qualcosa da fare, quello in cui tutti, più o meno a proposito, hanno qualcosa da dire, e resta il silenzio, il posto vuoto.
Mancano le parole, i gesti consueti, perfino i disaccordi. È l’esperienza del lutto, del distacco. Che accompagna la morte di chi abbiamo amato e occupava un posto speciale, se non nella nostra quotidianità, almeno nel nostro cuore. Non è di tutti, non è possibile che lo sia. Quando morì Gesù fu certamente così per la madre, Maria, per la Maddalena, per Giovanni, probabilmente per Pietro. Nell’immensa piazza stracolma e commossa dei funerali certamente c’erano molti cuori in lutto tra il popolo variopinto, diversi anche tra i vescovi, i preti e “perfino” (a voler cita re Bruce Marshall) tra la macchia purpurea dei cardinali, forse anche qualcuno tra il nero dei potenti della terra, molti dei quali incapaci di sedere composti perfino ad un rito esequiale. Certamente erano a lutto i poveri che con una rosa bianca tra le mani hanno accolto il corpo del Papa a Santa Maria Maggiore.
Il “papa della gente” è stato detto. Ed effettivamente era così. Quella gente che, come le donne del sabato santo, è partita spontaneamente, di buon mattino, senza pensarci troppo, seguendo un moto del cuore, per andare a Roma a dargli un ultimo saluto. Eppure questo Papa, aldilà delle strumentalizzazioni ideologiche e dei sensazionalismi mediatici, non aveva cambiato nulla della dottrina della Chiesa o della sua morale. Aveva solo applicato fino in fondo il principio evangelico che il peccato e il peccatore sono due cose diverse, che il primo va smascherato (soprattutto se di natura sociale) e il secondo invece va profonda mente amato. E ci era riuscito a partire dalla sua grande umiltà, che come sempre è la chiave del Regno dei Cieli, considerandosi egli stesso bisognoso di misericordia e di preghiere. Miserando atque eligendo: guardato con misericordia e per questo scelto (da Dio), era il suo motto. Le uniche realtà verso cui, come Gesù del resto, non riusciva proprio ad essere misericordioso, erano le ipocrisie, le cortigianerie, gli egocentrismi inopportuni e imbarazzanti che spesso si infiltrano negli ambienti curiali. Un piccolo fariseo è sempre in agguato nel cuore di ogni uomo o donna di Chiesa. E il Papa come un buon padre non poteva non ricordarcelo, richiamandoci tutti a maggiore purezza e radicalità evangelica. Che poi è essa sola fonte di gioia e di libertà.
Il momento più difficile nel separarsi da una persona cara è quello della chiusura della bara. Quando sai che non vedrai più il volto amato e sai che non basteranno le fotografie a impedire che esso divenga evanescente nei tuoi ricordi. Purtroppo noi preti non riusciamo quasi più ad essere presenti in quel momento. Troppi funerali, pochi preti. La gente ne avrebbe bisogno e farebbe un gran bene anche a noi, per aiutarci a non diventare stanchi gestori di funzioni religiose. Anche per il Papa quel momento (come poi quello della tumulazione) è stato sottratto all’invadenza delle folle e delle dirette televisive. Saggezza vaticana. Ma l’ultima immagine che ci porteremo nel cuore sarà quella delle scarpe del ponte fice nella cassa. Le sue abitua li scarpe nere, pulite, ma chiaramente consumate. Scarpe ortopediche, come quelle di tanti nonni nelle nostre case di riposo. Scarpe che gli hanno permesso di continuare ad andare incontro alla gente, anche quando aveva male ai pie di. Lo aveva raccomandato anche a noi giornalisti, di avere scarpe consumate e impolverate, per far bene il nostro lavoro. Figuriamoci se papa Francesco avrebbe voluto essere sepolto in pantofole rosse, lui che si portava la borsa da solo e sotto la talare bianca aveva continuato a vestire i semplici abiti di un gesuita argentino. Quando busserò alla tua porta avrò fatto tanta strada… Da Dio non ci si può presentare che così, a piedi nudi o al massimo con un paio di vecchie scarpe consumate per l’essere sempre, infaticabilmente andati incontro al prossimo.
Alessio Graziani donalessio@lavocedeiberici.it
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