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Home Intervista

Giorgio Sala: «A 97 anni penso ancora al domani. È pronto un libro»

Compie gli anni il 28 novembre. Siamo andati a trovarlo a casa per una chiacchierata a tutto tondo. Da Trump alla vita dopo la morte. La tecnologia, il rapporto con il potere, il suo girello. E poi l'amore per Ornella, fino al quella volta dal vescovo Nonis...

28 Novembre 2024
in Intervista, In primo piano
0
Giorgio Sala: «A 97 anni penso ancora al domani. È pronto un libro»

Nel suo studio, straripante di libri, cartoline, fotografie, faldoni. Un portatile acceso.

Mi prendo una sedia e mi metto vicino a lei.

«Si accomodi dove vuole»

Giorgio il 28 novembre copie 97 anni. Come si arriva così alla sua età?

«Lavorare molto, mangiare poco e andare d’accordo con il mondo. Mi muovo ogni giorno. Mollo il girello a due ruote, prendo quello a quattro ruote e scendo. Su e giù per la stradina. Prendo il sole  e poi su e giù per la stradina»

Senza alcuna vergogna.

«Andrei anche in centro da solo con il mio ausilio, se mi lasciassero».

Che cosa le preoccupa di più del mondo che stiamo lasciando alle nuove generazioni?

«La cosa più incredibile alla quale non credevo: la guerra».

Trump le fa paura?

«Mi farebbe paura se facesse quello che ha promesso di fare. Confido che non ci riesca».

A cosa si riferisce?

«Vuole cambiare il mercato internazionale. Già non va bene, potrebbe andare peggio». 

Però ha promesso che le guerre finiranno.

«Fosse vero. Non lo so. Il suo rapporto con Netanyahu è molto intenso e da là non ci si può aspettare il buono»

Un altro dramma è la denatalità. Non nascono più bambini.

«È la crisi che cambierà il mondo. Io non farò a tempo a vederla, ma il mondo cambierà. Se capissimo fino in fondo cos’è la crisi demografia cambieremmo atteggiamento. La situazione non è allarmante, è tragica»

Di notte dorme Giorgio?

«Non come un tempo. Lavoravo a Vicenza, Venezia, Roma e facevo i riposini in pullman, treno, auto, aereo.  Dormivo e lavoravo. Mia figlia medico mi ha convinto a prendere mezza pastiglietta».

Come immagina l’aldilà?

«È un bel problema. So che può bastare un soffio per cambiare destinazione, però nell’aldilà non riesco a immaginare la risurrezione dei corpi. Tento di immaginarlo pieno di luce celestiale. Se uno ha vissuto da piccolo cristiano con decoro, pulizia, non ha mai motivi di pentirsi, sarà quel che sarà. Se Dio mi aiuta, la morte non mi fa paura».

È stato il primo laico alla guida della “La Voce dei Berici”. Un ricordo.

«Andai dal vescovo Nonis a dare le dimissioni perché ero stato invitato a presentarmi come candidato alle elezioni regionali. Gli raccomandai di continuare con la serie dei direttori laici. Tanto è vero che non mi ha ascoltato»

Ha raccomandato qualcuno nella sua vita?

«Venivano in tanti e io precisavo: “Guardate che non ho potere”»

Potere ne aveva eccome.

«Sì, dai, qualche letterina l’ho scritta per dire, “se potete…”. Ricordo che aiutai un mio allievo, lavorava al mercato ortofrutticolo».

Il suo rapporto con il potere.

«Avrei potuto averne di più. Non ho frequentato molto i potenti. Forse avrei fatto carriera, ma va bene così. Di sindaco ce n’è uno, a Roma il rischio è essere un piccolo numero. L’ho detto anche a Giacomo Possamai».

Possamai le ha tolto il primato di sindaco più giovane.

«Giacomo, Giacomo, e l’ho anche aiutato a diventare sindaco. Ci avessi pensato prima!»

Papa Francesco le piace?

«Enormemente, anche quando scivola»

Ha un delfino?

«Faccio fatica a dire “ho puntato su questo”. Penso di aver aiutato più di qualcuno a prendere il volo».

È meglio un politico onesto e incapace oppure uno efficiente e disonesto?

«Nessuno dei due. L’Italia ha bisogno estremo di politica vera e di politici veri».

Un pregio e un difetto di Giorgia Meloni.

«È molto brava a parlare ed è inevitabile che rispetto al suo entourage riesca ad emergere. Dice bugie e cerca di nasconderle. Penso alle promesse sulla sanità».

Che rapporto ha con la tecnologia?

«Ho usato molto il computer, sono un praticone. Da un  po’ di mesi ci vedo poco poco.  Chiedo al cellulare che mi parli. Sono abbonato a due giornali, ascolto gli articoli. Ho appena finito di scrivere un libro:  dettavo al computer, adesso un collaboratore mi dà una mano.  Più di qualcuno mi chiede ancora “ti mando la bozza del libro. Dacci un’occhiata”»

Lei dà un’ascoltata.

«Me li faccio mandare in pdf e un po’ alla volta li ascolto».

Il Governo del cuore di Giorgio Sala. Tre ministri.

(ci pensa un po’) «Nino Andreatta all’economia. Poi il bresciano, quello che ha chiuso la Dc. Dai, quello nato a Orzinuovi. Me lo cerchi su Google»

Martinazzoli?

«Esatto, Martinazzoli. Per il ministro degli esteri ci penso un attimo».

La più grande soddisfazione della sua vita?

«La mia Ornella. Il mio matrimonio. Sono passati 63 anni da quando ci siamo conosciuti. Non ci siamo mai detti “sciocco”. Abbiamo due caratteri molto diversi. Ognuno ha il suo momento, deve essere disponibile a tacere. Si è presa cura di mia mamma che ha vissuto con noi fino a 92 anni, erano molto diverse ma si rispettavano. Purtroppo da un po’ non sta bene, non è più lei».

Il suo più grande rammarico.

«Avrei voluto fare di più per chi neanche ho conosciuto. Un bravo amministratore deve arrivare agli ultimi, non sempre ci sono riuscito».

Macchina del tempo. Che periodo della sua vita rivivrebbe?

«Nessuno del passato. Vivo l’oggi e il domani».

Torniamo al suo libro. Di cosa si tratta?

«È finito, sono al sommario. Circa 200 pagine. Si intitola “Una città”. Sono mie testimonianze reali sulla città dagli anni ’50 agli ’80, con straschi sul presente. Tutto vero. La vita della città, i suoi problemi. Credo sia interessante. È il compito di questa parte della mia vita. Sento di dover lasciare qualcosa alla mia città. È un dovere. Ad esempio spiego il problema del teatro».

Le sarebbe piaciuto inaugurare il teatro comunale?

«Tantissimo. Ci avevo provato altre due volte: con il teatro di Albini in viale Verdi che fu bocciato dal Ministero e con il teatro di Santa Corona. Anche lì non si fece nulla. Seconda bocciatura».

Il miglior sindaco di Vicenza dopo il suo ultimo mandato?

«È difficile. Il più simpatico è stato l’uomo semplice del popolo, Marino Quaresimin».

Un sassolino dalla scarpa che vuole togliersi.

«1970, elezioni dell’ultimo mio mandato da sindaco. Ero moroteo. I rumoriani non volevano mettermi capolista. Mi dissero “non sarai capolista”. Ho le lettere, ho tutto. “Se non mi mettete capolista, allora non mi presento”. Vinsi con grande consenso, però ci rimasi molto male. Mi è rimasta sul gozzo».

Il ministro degli esteri le è venuto in mente?

«Quello che finisce in oni, Commissario in Europa». 

Gentiloni?

«Sì, all’estero metterei Gentiloni!».

Marta Randon

 

Chi è Giorgio Sala

Sindaco democristiano tra i più longevi, governò Vicenza dal 1962 al 1975. Grandi doti umane e politiche, notevole cultura, carattere forte e spirito dinamico. Maestro elementare prima, professore al liceo poi. Accademico olimpico dal 1976.  Tra i vari incarichi fu consigliere regionale a Venezia, segretario generale della Biennale e segretario della Giunta Regionale del Veneto. Gestì l’immane alluvione del 1966, aprì al pubblico Parco Querini.

 

 

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